di Anna Toscano
Il tempo restituisce cautamente spazio e forma, voce e luce alla figura e alle opere di Camille Claudel. Se penso alle vicende di questa artista, che visse sempre controvento a cavallo tra Ottocento e Novecento, mi viene in mente una clessidra in cui i granelli di sabbia determinano luci e ombre, anche sulla sua scultura. Dalla nascita, nel 1864, e per la durata di poco più della metà della sua vita la clessidra ha portato luce a una donna che diveniva una grande artista, con uno sforzo immane in un contesto socioculturale che la voleva altro e altrove, ma lei indefessa perseguì la sua passione di vita, la sua arte, i suoi amori, il suo modo di stare nel mondo. E il suo modo di stare nel mondo era contro ogni convenzione, sempre più non tollerato dalla madre e dal fratello, così chiacchierato e sul filo dello scandalo da costringerla a un lento e senza sosta ritiro dalla società per stare nel suo studio, sola, con i suoi gatti. Ma anche questa sua richiesta minima di vita, complice la famiglia che la ostacolava, era troppo alta, anche per lei stessa che iniziava un cammino nella sofferenza mentale. Così, alla morte del padre, nel 1913, che fino ad allora la aveva sostenuta, le sue fatiche e le sue insofferenze fecero sì che la madre facesse aprire per lei le porte del manicomio.
Qui iniziano a scendere i granelli dell’ultima parte della clessidra della vita di Camille, i granelli dell’ombra e del buio, e non sono pochi, quasi trent’anni di manicomio lenti e inesorabilmente reclusi. Non ci fu ascolto per i medici che in questi tre decenni consigliavano il reintegro in famiglia e la ripresa della sua arte, non ci fu ascolto per le innumerevoli lettere di Camille mai recapitate, per ordine della madre, e per le molte lettere a Camille mai ricevute, sempre per ordine della madre. Gli ultimi infiniti anni sono senza voce, muti nonostante le molte parole scritte, e sordi, sordi agli affetti: la madre pare mai si recò a trovarla; con cadenza annuale, per un certo periodo, il fratello. Fino al 1943, il 19 ottobre, un cui l’ultimo granello, così scuro da esser nero, della clessidra si depose sopra a tutti, aveva settantotto anni. Malnutrizione la causa del colpo apoplettico, scrissero i medici. Il buio pervase la grande voce artistica di Camille e la sua opera, nessuno della famiglia si presentò al funerale e nessuno reclamò il corpo che pare giaccia in una fossa comune. Ma la clessidra si è girata, riparte, la sua voce, la sua forza non possono non tornare alla luce: così dopo molti anni di silenzio, granelli scuri si sono succeduti nuovamente per decenni, ecco che tornano quelli chiari, la luce sulla potenza della donna Camille Claudel, donna e artista.
La sua vita in forma anche romanzata è iniziata ad apparire in film, opere teatrali e biografie, e finalmente lo studio della sua opera si è avviato sempre più approfonditamente. Un movimento che inizia in Francia, sua patria, e che man mano interessa molti altri paesi. Oltre all’opera, le sue sculture, inizia la ricerca delle sue parole: la raccolta della corrispondenza esce a Parigi, per Gallimard, nel 2003 a cura di Anne Rivière e Bruno Gaudichon, e in Italia per Abscondita nel 2005 con il titolo Corrispondenza nella traduzione di Monica Martignoni. Di questa opera ho scritto qui nel pezzo dal titolo Camille Claudel e August Rodin: parole come pietre. In quasi vent’anni dalla pubblicazione della corrispondenza la clessidra ha continuato inesorabilmente la sua metà di luce, granelli come tasselli nel ridare corpo e dignità a questa donna. Le pubblicazioni sono continuate ma anche la ricostruzione e riunione di alcune opere. Difatti nel 2017, dopo lunghi assestamenti, a Nogent-Sur-Seine nasce il Museo Camille Claudel. Cittadina a novanta chilometri da Parigi ospitò dal 1876 al 1879 la famiglia Claudel e in quella stessa abitazione ha sede parte del museo. Già a inizio Novecento la città aveva dedicato alla scultura uno spazio, il museo Dubois-Boucher, nel tempo riadattato, saccheggiato durante la guerra e infine chiuso.
Con l’annessione della casa in cui visse la famiglia Claudel e un’importante progettazione aggiuntiva nasce il nuovo spazio museale. Il complesso nell’insieme è di impatto, l’edifico appare un tutt’uno, il nuovo fuso nel vecchio e viceversa, che ricorda molto l’energia della nostra artista verso il futuro. Dalla stazione ferroviaria sono nemmeno quindici minuti a piedi nel centro di una cittadina che appare per lo più vuota, desolata, nel silenzio interrotto solo da alcune auto. Quindici sale portano alla conoscenza e all’approfondimento dell’opera di Claudel con un percorso che presenta la scultura ai tempi dell’artista attraverso sculture di altri autori e video: un interessante excursus sulla scultura negli spazi pubblici, l’opera di Paul Dubois, l’immagine della donna nell’arte in quei decenni, l’allegoria e il mito come moda di raffigurazione, i lavoratori, la scultura nella sfera privata e la raffigurazione del corpo in movimento. La sala numero dieci è lo spazio dedicato all’atelier di Auguste Rodin, luogo di apprendistato e di conoscenza per Camille e nella sala numero undici i fili del destino che incrociano qui, come in una continua reiterazione di epifanie, Camille e Alfred Boucher.
Le ultime quattro sale sono finalmente, è il caso di dirlo, dedicate a Camille: solo a lei. La sua opera di ritrattista, come autrice di La Valse e di L’âge mûr e il mondo che ruota attorno a Persée et la Gorgone. Le opere dell’artista non sono davvero molte, soprattutto se confrontate con quelle degli scultori che la precedono nelle prime undici sale, e anzitutto se si pensa alle opere di lei esposte al Museo Auguste Rodin nel cuore di Parigi. Tuttavia il fatto che in questo museo tutto il percorso sia concentrato sulla collocazione storica dell’opera di Claudel è rilevante. Certo, sarebbe stato importante un museo a Parigi che raccogliesse tutte le sue opere come un mausoleo che contenesse le sue spoglie, come avviene per Rodin, ma di fatto si va a tasselli. Anche le parole di Claudel giunte sino a noi sono aumentate: un fortuito rinvenimento ha permesso una edizione aggiornata del libro Corrispondenze: per Gallimard nel 2014 e poi per Abscondita nel 2020 è uscita una edizione ampliata delle lettere grazie al ritrovamento del carteggio con il critico d’arte belga Léon Gauchez, nella traduzione di Caterina Medici.
Gauchez e Claudel avevano sì un rapporto di lavoro molto professionale ma nelle lettere a lui, così come nella vita dell’artista, il personale fa capolino a ogni riga, coinvolgendo e spostando il mondo artistico nel privato e viceversa. Nonostante per la vita e per l’opera di Camille Claudel i tasselli pare stiano a disposizione del tempo e delle sue beffe, possiamo forse oggi considerare concluso il lavoro della clessidra e iniziare a vedere Camille per quello che è, un’artista atemporale. Noi, umani, non possiamo che cogliere, raccogliere, custodire, studiare e dare voce alla sua opera e alla sua vita, tutta la voce che sino a oggi non ha avuto, scavare quella coltre di silenzio che, per disparati e ignobili motivi, l’hanno lasciata muta. Risarcirla in parte di tutto lo splendore che le è stato sottratto.
(Doppiozero, 3 ottobre 2021)