di Giuseppe Sedia
Varsavia – Spinti dal regime di Minsk verso la frontiera con la Polonia e respinti indietro a colpi di lacrimogeni dalla polizia polacca. Tra i tre e i quattromila migranti ieri si sono trovati tra due fuochi, strumento involontario degli «attacchi ibridi» del dittatore Aleksandr Lukashenko, che li utilizza per punire l’Unione europea per le sanzioni adottate contro il Paese. Ma anche vittime del governo di Varsavia, che lungo il confine con la Bielorussa ha schierato ormai 22 mila uomini pur di impedire a una massa sempre più numerosa di disperati di attraversare il suo territorio per arrivare in Germania. «Siamo pronti a difendere la frontiera», ha ribadito anche ieri il ministro polacco della Difesa Mariusz Błaszczak.
È un confine sempre più caldo quello tra Polonia e Bielorussia, al punto che la crisi dei migranti creata ad arte da Minsk rischia adesso di sconfinare verso scenari imprevedibili quanto pericolosi. Con la Nato, chiamata in causa dell’ex presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, oggi leader dell’opposizione al governo populista di Diritto e giustizia (Pis), attenta a quanto accade e «pronta ad assistere gli alleati», dall’altra parte, Mosca che difende e giustifica il regime bielorusso.
Gli sconfinamenti, in verità, vanno avanti da agosto ma mai si erano visti così tanti migranti provare a entrare tutti insieme in territorio polacco come ieri quando al checkpoint di Kuźnica è arrivato un fiume di uomini, donne e bambini che camminavano in fila verso il confine «scortati» dalla polizia di frontiera bielorussa. Ed è proprio nei dintorni di questo villaggio della Podlachia, nel profondo nordest del paese, che la voce di un buco nella rete della recinzione avrebbe convinto i profughi a tentare il tutto per tutto nella giornata di ieri. Secondo fonti riportate dal portale polacco di giornalismo investigativo Oko.press, la maggior parte delle persone confluite a piedi verso il confine polacco provenivano da una manifestazione organizzata dai migranti iracheni presenti in Bielorussia.
Nel pomeriggio poi una parte della recinzione di filo spinato ha cominciato a cedere in più punti. «I bielorussi vogliono provocare un incidente di dimensioni significative, preferibilmente con proiettili sparati e vittime», ha dichiarato il viceministro degli Esteri polacco, Piotr Wawrzyk. Anche se ai giornalisti in Polonia resta vietato l’accesso alla zona chiusa di tre chilometri lungo la frontiera con il vicino, è stato quasi impossibile non accorgersi di questa massa umana fotografata a più riprese dall’alto e sorvegliata da un elicottero militare polacco.
Fino a ieri, in attesa della costruzione di un muro vero e proprio, la strategia di respingimento indiscriminato, messa in atto dal Pis aveva funzionato. Ma con questi numeri a saltare sono tutti gli schemi. A Kuźnica è successo di tutto. Esercito e polizia hanno utilizzato lacrimogeni per disperdere i migranti, mentre alcuni profughi hanno provato a sfondare le recinzioni utilizzato tronchi di alberi a mo’ di arieti. Tuttavia, c’è anche chi in patria continua a dare prova di solidarietà nei confronti di esseri umani usati come pedine di un gioco politico imprevedibile e crudele che al momento coinvolge Varsavia, Minsk e Bruxelles. Dalle luci verdi accese all’esterno delle abitazioni dagli abitanti dei villaggi polacchi di confine per segnalare la propria disponibilità a offrire soccorso ai migranti, passando per gli appelli firmati da personalità della cultura, c’è anche una Polonia che sembra disposta ad aiutare il prossimo, o quanto meno, pronta a indignarsi. In una lettera indirizzata al Consiglio d’Europa e al parlamento europeo le premio Nobel per la letteratura Svjatlana Aleksievič, Elfriede Jelinek, Herta Müller e Olga Tokarczuk denunciano la «catastrofe umanitaria» che si consuma ogni giorno al confine.
Con migliaia di soldati schierati nella zona, Varsavia spera di poter gestire l’emergenza senza coinvolgere Bruxelles. Un eventuale coinvolgimento di Frontex potrebbe essere interpretato come un cedimento all’idea di sovranità che il Pis vuole continuare a trasmettere ai suoi elettori, dopo aver detto «nie» nel 2015 al ricollocamento forzato di immigrati sul proprio territorio. Intanto il tema della crisi migratoria verrà affrontato «con urgenza» la settimana prossima dai ministri degli Esteri. «Invito gli Stati membri ad approvare finalmente il regime di sanzioni esteso alle autorità bielorusse responsabili di questo attacco ibrido», ha chiesto la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.
(il manifesto, 9 novembre 2021)