di Mariangela Mianiti
Che sia stata strumentalizzata o fraintesa, come sostiene lei, Elisabetta Franchi un risultato lo ha ottenuto. Le giovani donne, come le cinque che ho accanto in pausa pranzo a Milano, stanno discutendo di quanto sia complicato conciliare lavoro e maternità, perché è sempre quella la questione dirimente nella vita di una donna italiana. Fai figli o carriera? L’imprenditrice bolognese, che con il marchio suo omonimo fattura cento milioni di euro l’anno e vende abiti soprattutto in Europa, paesi arabi e Russia (chissà come farà ora), ha detto al convegno «Donne e Moda. Barometro 2022» organizzato da PWC Italia e il quotidiano Il foglio che nella sua impresa l’80 per cento dell’occupazione è femminile, ma se deve affidare un ruolo dirigenziale a una donna la sceglie sopra gli anta perché: «Se dovevano sposarsi si sono già sposate, se dovevano far figli li hanno già fatti, se dovevano separarsi hanno fatto anche quello. Dopo questi giri di boa sono più libere, hanno meno sensi di colpa e sono al mio fianco h24».
Ha aggiunto: «I figli li facciamo noi. In casa il camino lo accendiamo noi. Se investo in una donna non anta, poi questa vuole giustamente una famiglia, sposarsi, fare le vacanze, andare dal parrucchiere e se decide di far figli io mi ritrovo, come imprenditrice, con un buco in una posizione strategica e non posso permettermelo. Io ho due figlie, ho fatto due tagli cesarei organizzati e dopo due giorni ero già a lavorare con i punti che davano fastidio perché non puoi respirare, non puoi mangiare, non puoi fare nulla. È un grande sacrificio essere imprenditrice e donna». Lasciamo perdere il fatto che, come ha sottolineato nello stesso convegno Linda Laura Sabbadini, «I servizi in Italia non esistono. Solo il 12% dei bambini riesce a entrare in un asilo nido pubblico.
Nel 2000 è stata votata la legge 328 che prevedeva di aumentarli e non è mai stata applicata». Mettiamo da parte il particolare che là dove ai padri è caldamente consigliato e pagato un lungo congedo parentale (vedi Svezia) i livelli di occupazione femminile sono altissimi. Sorvoliamo sulla questione che mica tutte hanno voglia di vivere il parto come se fossero al fronte programmando cesarei e andando in ufficio con i punti addosso. Accantoniamo pure le esigenze del neonato che, magari, avrebbe voglia di strafugnarsi contro il corpo di colei che per nove mesi se l’è portato dentro. Messi in sospensione questi aspetti, una cosa mi ha colpito del pensiero di Elisabetta Franchi, quel cercare donne disponibili a viverle accanto h24, formula molto usata fra le forze dell’ordine.
C’è in quella visione, un’idea di bios funzionale solo al lavoro, un pensiero di dedizione assoluta, di cessione totale del tempo e di sé, come se, una volta svolto il compito di scodellatrice di nuove generazioni, l’ideale fosse votarsi anima e corpo a un lavoro, a un’azienda, a una missione, peraltro altrui. Quindi non più lavorare per vivere, ma vivere per lavorare. Torno alle mie giovani vicine di tavolo e sento una dire: «Che cosa ci potrebbe succedere se restassimo incinte una dopo l’altra? Che ci dicono chi deve tenere il bambino e chi no per il bene dell’azienda? E chi ci assumerebbe prima dei quaranta se tutti ragionassero come la Franchi?»
Visto che produce abiti, sono andata a vedere la collezione Ef, tanto per capire a che tipo di donna si rivolge. Fra tubini fascianti, miniabiti con lucchetti, robe manteau paramilitari, mise da red carpet con smerli, ricami e paillettes, ho capito quando dice «Il camino lo accendiamo noi». Un camino metaforico, s’intende.
(il manifesto, 10 maggio 2022)