26 Giugno 2022

Omaggio a Carla Lonzi


Una volta incinta la donna scopre l’altro volto del potere maschile che fa del concepimento un problema di chi possiede l’utero e non di chi detiene la cultura del pene. Sotto questa luce la legalizzazione dell’aborto chiesta al maschio ha un aspetto sinistro poiché la legalizzazione dell’aborto e anche l’aborto libero serviranno a codificare le voluttà della passività come espressione del sesso femminile e a rafforzare ciò che sottintendono e cioè il mito dell’atto genitale concluso dall’orgasmo dell’uomo nella vagina. La donna suggellerà attraverso uno sdrammatizzato esercizio della sua utilizzazione la cultura sessuale fallocratica.

Cercare di mettere a riparo le nostre vite attraverso una richiesta per la legalizzazione dell’aborto porta sotto considerazioni pretestuosamente filantropiche e umanitarie al nostro suicidio: in modo indiretto viene riconfermata la prevalenza di un sesso su un altro intanto che l’altro sembra andare incontro alla sua liberazione.

Come portavoce dello sterminato numero di donne che hanno abortito e abortiscono clandestinamente consideriamo di fatto decaduta la legge anti-abortiva, ma soprattutto consideriamo decaduta quella cultura del pene all’interno della quale viene presentata come una vittoria del femminismo la concessione alle donne di affrontare la maternità come libera scelta, mentre in realtà il patriarcato consolida e aggiorna la sua gestione del mondo. Esso riafferma il prestigio di una cultura sessuale che mette incinte le donne negando loro il diritto a esprimersi nel sesso e enfatizzando invece la loro capacità a accordarsi e a favorire il piacere dell’altro, dell’uomo patriarcale.

Attraverso la diffusione di pratiche abortive e contraccettive egli si assicura che questo piacere non gli venga turbato dalla previsione di un folle sovrappopolamento del globo.

La liberalizzazione dell’aborto è diventata, attraverso millenni, la condizione mediante la quale il patriarcato prevede di sanare le sue contraddizioni mantenendo inalterati i termini del suo dominio. […]

L’aborto ammesso dalla società vuole prolungare e dare artificialmente nuova forza a un erotismo femminile che ha paralizzato e distrutto la donna durante 4000 anni.

Noi rivendichiamo una parte del nostro corpo che ci procura il piacere senza condannarci alla procreazione e ci sgancia dalla condizione emotiva di chi si dà da inferiore a un essere superiore. Per questo il piacere vaginale è stato enfatizzato da tutta una cultura maschile orientale e occidentale e ha trovato nella teoria freudiana e reichiana il puntello per protrarre la sua gloria ancora per un millennio.

Noi femministe arrestiamo questa congiura del potere maschile e ci salviamo dalla completa rovina.

Proviamo a pensare a una civiltà in cui la libera sessualità non si configuri come l’apoteosi del libero aborto e dei contraccettivi adottati dalla donna: essa si manifesterà come sviluppo di una sessualità non specificamente procreativa, ma polimorfa, e cioè sganciata dalla finalizzazione vaginale. Non si tratterà più di preparare l’incontro tra il sesso di un soggetto egemone e il suo strumento, ma tra due soggetti umani, la donna e l’uomo, e i loro sessi (con ogni prevedibile e imprevedibili fluttuazioni nell’assetto eterosessuale dell’umanità).

Da luogo della violenza e della voluttà la vagina diventa, a discrezione, uno dei luoghi per i giochi sessuali.

In tale civiltà apparirebbe chiaro che i contraccettivi spettano a chi intendesse usufruire della sessualità di tipo procreativo, e che l’aborto non è una soluzione per la donna libera, ma per la donna colonizzata dal sistema patriarcale.»


Estratto da “Sessualità femminile e aborto” (in Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale, Milano, luglio 1971, Rivolta Femminile)


(Facebook – Omaggio a Carla Lonzi, 26 giugno 2022)

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