di Clara Jourdan
Introduzione all’incontro in Libreria delle donne, Milano 11 febbraio 2023: La guerra incombe più di ieri. Che cosa si può fare oggi? A quasi un anno dall’invasione dell’esercito russo in Ucraina continua ad aumentare il coinvolgimento armato di altri paesi tra cui l’Italia, nonostante sempre più donne e uomini stiano dicendo basta a questa e alle altre guerre che insanguinano il pianeta. Ci troviamo in una situazione molto difficile e pericolosa. Vogliamo parlarne a partire dalla consapevolezza che ogni guerra è scatenata da uomini e colpisce tutte e tutti, cioè che la guerra fa parte della questione maschile, dei gravi problemi causati alla convivenza civile dal sesso maschile come si esprime nella storia, e che ormai è necessario un cambiamento, prima che sia troppo tardi. Ne discutiamo con Marco Deriu, Alberto Leiss, Alfonso Navarra: uomini impegnati nella riflessione e nell’azione contro la guerra. Introduce Clara Jourdan.
La guerra iniziata con l’invasione dell’esercito russo in Ucraina il 24 febbraio 2022 ha riportato all’attenzione di tutte e tutti la realtà della guerra, sempre presente nel mondo ma che tendiamo a mettere da parte, per non esserne schiacciate. A quasi un anno di distanza dall’invasione, la guerra incombe più di ieri, e non sappiamo cosa possiamo fare. Qui vogliamo cercare di ragionare a partire da una considerazione che alcune donne fanno da tempo ma che non è presente nei discorsi pubblici: la guerra è una manifestazione della questione maschile,[1] cioè dell’insieme di problemi che il sesso maschile come si esprime storicamente causa alle donne, alle creature, alla natura, alla convivenza civile, agli uomini stessi. Dei femminicidi e le altre violenze contro le donne si parla ormai spesso. È necessario prendere coscienza che anche la guerra ne è una manifestazione, e terribile, per la devastazione che provoca in morti, vite sconvolte, città distrutte.
Prima di entrare nel merito della guerra come questione maschile, voglio precisare che non intendo escludere le donne dalle responsabilità nel far continuare le guerre, a volte prendendo le armi ma specialmente nutrendo, curando e sostenendo i combattenti e i loro ideali, come sappiamo dalla storia e come vediamo ancora. Eppure molte femministe pensavamo come Letizia Battaglia, la fotografa impegnata morta nel 2022, che nella sua autobiografia scriveva: «Sono sicura che le donne al governo non permetterebbero la guerra».[2] Invece la permettono. Anche per il poco che è in loro potere, come le leader di Finlandia e Svezia che di fronte all’aggressione russa all’Ucraina hanno chiesto l’ingresso dei loro paesi nella Nato, mentre forse potevano ribadirne la storica neutralità, ce lo saremmo aspettate da alcune dichiarazioni “femministe”. Kaja Kallas, presidente dell’Estonia dal gennaio 2021, in una intervista del 29 aprile 2022 si dice «convinta che se ci fosse stata una donna a capo del Cremlino, questa guerra non sarebbe mai scoppiata», perché «se hai dato vita a un essere umano, è così crudele ammazzare il figlio di un’altra donna»[3], ma lei sceglie di stare «dalla parte giusta della cortina di ferro, che è quella della Nato». Cioè al momento di rispondere alla guerra ha prevalso la logica delle alleanze militari. Laura Colombo commenta: «Se le donne arrivano al potere, devono radicarsi ancora più profondamente nella loro differenza per non perderla, e non perdere così la possibilità che davvero la guerra sia messa fuori dalla storia».[4] Purtroppo oggi che “le donne sono ovunque”[5] accade spesso che quando una donna si trova in un posto di potere tenda a stare «all’interno della logica dei rapporti di forza e di potere»[6]. Su questo abbiamo riflettuto in un incontro qui in Libreria il 12 giugno 2022.[7] Stasera chiedo di concentrarci, grazie alla presenza di uomini impegnati contro la guerra – Marco Deriu e Alberto Leiss ne hanno anche discusso recentemente in un incontro dell’associazione Maschile Plurale di cui fanno parte – sulla questione maschile che pone la guerra, prima che sia troppo tardi.[8]
A differenza dei millenni passati, oggi la guerra deve essere giustificata come difesa, difesa di territori, di popolazioni, di valori. Specialmente come resistenza. Questo è effetto della fine del patriarcato, nella cui civiltà era presente la guerra di conquista. Può essere considerato un passo avanti, un cambiamento culturale importante, così come l’aumento delle proteste popolari: quella mondiale del 15 febbraio 2003 non è riuscita a impedire l’attacco degli Usa all’Iraq ma ha mostrato inequivocabilmente che la guerra esterna non è più accettabile. Tuttavia ritenere che una guerra debba essere giusta fa sì che le guerre continuino, e vengano sostenute e alimentate da paesi “amici”.[9] Invece occorre sapere, dice il papa Francesco, che «la guerra non è mai giustificata».[10]
Come scrisse tanti anni fa Gertrude Stein (che guidava ambulanze in Francia nella prima guerra mondiale), «una guerra è sempre perduta, sempre perduta». Da allora la situazione è via via andata peggiorando, muore molto di più la popolazione che i combattenti, e a causa del progresso tecnologico e dell’economia capitalistica la pericolosità è aumentata enormemente. Nel 1945 l’atomica l’avevano solo gli Stati Uniti e l’hanno usata. Adesso che ce l’hanno tutti, come possiamo credere che un Putin o un altro uomo al comando sia più responsabile del presidente Truman che ha fatto sganciare la bomba su Hiroshima e dopo averne visto l’effetto un’altra su Nagasaki?
Una guerra è sempre perduta non solo per la morte e distruzione che ha provocato ma per le sue conseguenze nelle relazioni tra stati. Una cosa che eternizza la pericolosità delle guerre rilanciandole quando sono finite è la “voglia di stravincere”[11] dei vincitori. Tutti sanno che la seconda guerra mondiale è stata il seguito della prima, i cui vincitori con il Trattato di Versailles (1919) hanno voluto umiliare la Germania sconfitta. E non è forse la voglia di stravincere degli Stati Uniti e della Nato che ha portato alla guerra di oggi della Russia all’Ucraina? La fine della Guerra fredda in Europa, con lo scioglimento del Patto di Varsavia (1991) e quindi la vittoria degli Stati Uniti non ha portato, come sarebbe stato sensato volendo davvero la pace, allo scioglimento della alleanza militare Nato (istituita nel 1949), il cui allargamento alla Repubblica Federale Tedesca nel 1954 aveva spinto l’Unione Sovietica a fondare nel 1955 il Patto di Varsavia. Ma nel 1991 almeno c’è stato l’accordo di Bush con Gorbacev che la Nato non si sarebbe allargata verso est. Un impegno di pace a cui molti e molte hanno creduto perché alla base del diritto internazionale per evitare le guerre c’è il principio che i patti vanno rispettati (Pacta sunt servanda). Invece la voglia di stravincere ha dominato i decenni successivi: la Nato si è ampliata più volte dal 1999, l’ultima nel 2020; ben 14 paesi sono entrati, di cui 10 dell’ex Patto di Varsavia, e l’Ucraina è in trattativa. Seguendo Freud, Franco Fornari nel libro La psicoanalisi della guerra, pubblicato nel 1966 in piena guerra fredda e minaccia atomica, aveva definito la guerra come una “elaborazione paranoica del lutto”.[12] Bisognava dunque saperlo che si sarebbe arrivati al punto in cui ci troviamo.
I soggetti che gli psicanalisti avevano in mente erano gli uomini di sesso maschile, ovvio, ma non lo dissero, però oggi possiamo e dobbiamo dirlo. Tornando alla voglia di stravincere, esiste anche nei conflitti interpersonali, anche nelle donne, alla fine dei loro rapporti con uomini, come ha spiegato Lia Cigarini, ma è negli uomini di stato che impedisce la pace al termine delle guerre. C’è una differenza sessuale anche nella voglia di stravincere. La voglia maschile di stravincere credo si agganci a un elemento simbolico che è alla base del perpetuarsi della guerra, il valore virile del guerriero, il suo onore, e su questo potranno dire qualcosa di più preciso gli uomini qui presenti, in particolare Marco Deriu che ha analizzato la differenza sessuale nel suo fondamentale Dizionario critico delle nuove guerre.[13]
Comunque, il cambiamento che riscontriamo in alcuni (o molti?) uomini nelle relazioni con le donne sembra venir meno quando si tratta della guerra, che resta una attività onorevole per gli uomini. Dai “caduti per la patria” della prima guerra mondiale (in realtà milioni di giovani uomini massacrati per spostare i confini degli stati) a tutt’oggi, un secolo dopo, la fine del patriarcato non ha intaccato l’immaginario e il sentimento di reverenza e gratitudine per il soldato. Lo possiamo vedere chiaramente per esempio nelle serie televisive americane progressiste, il grande onore che viene tributato ai militari caduti all’estero non ha l’eguale per nessuna attività maschile. Io sono sempre colpita di fronte a queste espressioni, che sembrano autentiche, sentite, e mi viene in mente per contrasto l’indifferenza per i caduti sul lavoro, che pure sono morti per il “paese”.
Forse è questo il punto chiave della questione maschile riguardo alla guerra, che resta un’attività onorevole per gli uomini. Ottant’anni fa Virginia Woolf aveva capito che è su questo che bisogna agire, creare attività più onorevoli per gli uomini onesti.[14] Gran parte degli uomini in realtà non vuole la guerra, ci vanno solo se obbligati, ma sono ben pochi quelli che trasgrediscono disertando oppure opponendosi al patriottismo ancora dominante nella cultura. Poco prima della pandemia mi è capitato di assistere a un concerto di una banda di paese, nel mio paese di nascita: quando hanno suonato l’inno nazionale italiano e io non mi sono alzata in piedi, il mio vicino di sedia si è indignato e con grande agitazione mi ha chiesto da dove diavolo venivo.
Guerra e patria sono strettamente legati, negli uomini, lo spiega bene Marco Deriu nella voce “Differenza sessuale” del libro citato, un libro che «nasce da una precisa consapevolezza: la guerra materiale trova un suo fondamento nella dimensione dell’immaginario. Si afferma, in primo luogo, come una possibilità che si installa nel nostro orizzonte di pensiero, nella nostra visione delle cose». Fino a rendere la guerra un «fatto sociale totale» nella normalità delle nostre vite, a cominciare dal linguaggio.[15] Da qui comprendo come mai il “diritto alla resistenza” sia sempre invocato e indiscusso. Un diritto che in realtà suona come un obbligo, se pensiamo all’Ucraina che appena invasa avrebbe potuto arrendersi ma il suo governo ha deciso di resistere. Milioni di profughi, centinaia di migliaia di morti, città completamente distrutte… un’enorme catastrofe di cui non si scorge la fine. Non si poteva cercare di evitarla valutando con buon senso cosa fosse opportuno fare? invece di ubbidire all’ineluttabilità di un diritto maschile, e all’orgoglio degli uomini al comando. Tante donne, come me, pensano che dovremmo arrenderci se la nostra città, Milano, venisse assediata, piuttosto che morire o dover scappare in massa e lasciarla distruggere. Non siamo più ai tempi delle guerre di indipendenza (guerre ricordate dalla toponomastica in questa zona di Milano: l’insurrezione del 1848 in piazza Cinque Giornate, corso XXII Marzo …). Oggi occorre prendere atto che il principio ottocentesco dell’autodeterminazione dei popoli – “popoli” al plurale, cioè distinti su base etnica, linguistica, storica, religiosa… – è diventato pericolosissimo, quanto sedimentato nel nostro immaginario; nel Novecento abbiamo assistito alla distruzione della convivenza di intere popolazioni (penso alla ex Iugoslavia) per creare nuovi stati per ciascun “popolo”, e sarà sempre peggio dato che con la globalizzazione i cosiddetti popoli si mescolano ovunque.
(www.libreriadelledonne.it, 15 febbraio 2023)
[1] Laura Colombo ha dedicato alla questione maschile la sua lezione all’ultimo Grande seminario di Diotima, in dialogo con Marco Deriu (Verona, 21 ottobre 2022): https://www.libreriadelledonne.it/puntodivista/la-questione-maschile-3/
[2] Letizia Battaglia e Sabrina Pisu, Mi prendo il mondo ovunque sia, Feltrinelli 2020, p. 115.
[3] Intervista di The Times UK, https://www.thetimes.co.uk/article/if-a-woman-was-running-russia-thered-be-no-war-in-ukraine-h9w99b087
[4] Commento di Laura Colombo all’intervista a Kaja Kallas, Se le donne arrivano al potere, 29 aprile 2022, https://www.libreriadelledonne.it/puntodivista/se-le-donne-arrivano-al-potere/
[5] Le donne sono ovunque è il titolo di “Via Dogana” 111/2014, l’ultimo numero cartaceo della rivista di pratica politica della Libreria delle donne di Milano.
[6] La forza delle donne. Introduzione di Laura Colombo all’incontro del 12 giugno 2022, https://www.libreriadelledonne.it/puntodivista/la-forza-delle-donne-introduzione/
[7] Vedi Lia Cigarini, Le contraddizioni spingono avanti il pensiero, #VD3, 19 luglio 2022, https://www.libreriadelledonne.it/puntodivista/le-contraddizioni-spingono-avanti-il-pensiero/
[8] «Oggi assistiamo a una terza guerra mondiale a pezzi, – ha scritto il papa Francesco – che tuttavia minacciano di diventare sempre più grandi, fino ad assumere la forma di un conflitto globale» (Vi chiedo in nome di Dio. Dieci preghiere per un futuro di speranza, Piemme 2022, p. 60; gran parte del capitolo “In nome di Dio chiedo che si arresti la follia della guerra”: https://www.libreriadelledonne.it/puntodivista/dallastampa/papa-francesco-in-nome-di-dio-fermate-la-guerra/. Sulla disumanizzazione di questa guerra vedi Domenico Quirico su La Stampa, 4 Febbraio 2023.
[9] «Mi piace la strada su cui ci troviamo: con armi e denaro dall’America, l’Ucraina combatterà la Russia fino all’ultimo uomo». A parlare è stato il senatore repubblicano Usa Linsdey Graham, il quale ha poi ha precisato che la vittoria ucraina sulla Russia è «un reset dell’ordine mondiale che va nel senso giusto» (Francesco Strazzari, Il commento della settimana, il manifesto, Lunedì rosso del 9 gennaio 2023).
[10] Vi chiedo in nome di Dio, cit., p. 60.
[11] Prendo questa espressione dal titolo di un articolo di Lia Cigarini, che anni fa scriveva: «quando come avvocata mi trovo a difendere le donne nelle cause di separazione, le vedo agire un forte senso di rivincita nei confronti dell’uomo con cui hanno vissuto» (Voglia di stravincere, Via Dogana n. 68, 2004). Sia chiaro che la voglia di stravincere femminile può essere un problema, ma certo non ha a che vedere con le guerre tra stati.
[12] S. Freud, Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte, 1915; Franco Fornari, La psicoanalisi della guerra, 1966 (ultima ed. 2023). Citati da Massimo Recalcati nell’articolo L’allucinazione della guerra, Doppiozero, 4 aprile 2022.
[13] Editrice Missionaria Italiana, 2005, pp. 136-144.
[14] Thoughts on Peace in an Air Raid, 1940; trad. it. Pensieri di pace durante un’incursione aerea, in Per le strade di Londra, Il Saggiatore, 1963.
[15] Dizionario critico, cit., Introduzione, p. 11 ss.