di Dimitri Canello
Il compenso del contratto nazionale è sotto la soglia di povertà. L’azienda dovrà pagare la differenza con lo stipendio di un portiere. Adl Cobas: «Vittoria che può dilagare»
Una paga oraria da fame, a nemmeno quattro euro ogni sessanta minuti di lavoro. È una storica vittoria, quella di una lavoratrice padovana, che ha fatto causa alla Civis sostenuta dagli Adl Cobas e dai legali padovani Giorgia D’Andrea e Giacomo Gianolla e che ha convinto un giudice del lavoro di Milano a darle ragione. La paga di 3,96 euro orari prevista dal contratto nazionale, secondo il giudice, viola l’articolo 36 della Costituzione, laddove è sancito che «il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa».
Parliamo di un reddito netto di 640 euro mensili, al di sotto della soglia di povertà e inferiore persino al reddito di cittadinanza. La vittoria potrebbe fare giurisprudenza e spalanca le porte a conseguenze davvero imprevedibili: «È una vittoria storica – spiega Mauro Zanotto di Adl Cobas – che apre la strada anche ad altri lavoratori nella stessa situazione in Italia e a Padova. In tutto il Paese sono circa 100mila gli interessati a una sentenza simile. A Padova ci sono una ventina di cause pendenti per motivi analoghi, più altri sparuti casi qua e là contro aziende private. Sono coinvolte diverse strutture, come l’Esu, l’università, l’Agenzia delle Entrate, alcune aziende private. Speriamo che questa sentenza faccia capire alle sigle sindacali che hanno firmato questi contratti inaccettabili a livello nazionale che non si può andare avanti così».
La Civis, società di vigilanza per la quale lavora la donna, è stata condannata a pagare un risarcimento di 372 euro lordi in più per ogni mese (6,756,04 in totale), cioè la differenza tra la paga versata e quella prevista per un servizio di portierato. Un lavoro povero, che però deve rimanere entro determinati confini e deve garantire un trattamento minimo ben diverso dai contratti firmati negli anni scorsi dalle principali sigle sindacali: «Non è accettabile – prosegue Zanotto – che si parli di un lavoro con molte responsabilità e non un semplice aprire e chiudere un ingresso sia pagato meno del reddito di cittadinanza. Ci sono casi in cui ci sono state richieste di integrazioni e chiunque può capire che una cosa del genere non sta e non può stare in piedi. Questi lavoratori, per portare a casa uno stipendio dignitoso, erano e sono costretti a fare continui straordinari con un orario di lavoro che supera anche le 12 ore quotidiane».
Da qui la richiesta successiva, formulata proprio da Adl Cobas: «Chiediamo l’apertura di un tavolo che coinvolga università, Esu, Regione, Provincia e tutti quei soggetti che sono coinvolti da questa sentenza perché si metta fine a questa logica di sfruttamento. Prendiamo atto con soddisfazione – conclude Zanotto – che questo giudice fa riferimento a un contratto di portierato riconoscendo che il lavoro svolto non è quello di un semplice portinaio. Questi lavoratori hanno diverse responsabilità, fra cui anche quella in caso di incendio. I contratti, poi, sono fermi da almeno otto anni. Le cose devono cambiare».
(Corriere del Veneto, 6 aprile 2023)