di Franca Fortunato
Il 3 e 4 giugno ho partecipato alla Libreria delle donne di Milano al convegno nazionale voluto da Anna Di Salvo delle “Città Vicine” e da Adriana Sbrogiò di “Identità e Differenza” per riflettere sulle «relazioni di differenza tra donne e uomini nel nostro presente» dove la violenza maschile si è fatta sempre più insopportabile con orrendi femminicidi e la guerra in Ucraina. Relazioni di differenza che nel passato si sono viste tra donne e uomini, consapevoli della propria differenza, apertisi allo scambio e al confronto reciproco e che da qualche tempo – come ha detto in apertura Di Salvo – «stanno incontrando un punto d’arresto» e gli uomini si sono chiusi tra loro. E se le donne – come hanno ripetuto in tutti gli interventi – non ci stanno a farsi schiacciare dalla disperazione, gli uomini sono consapevoli che “senza autocoscienza maschile non cambia nulla” perché la guerra, che è esercizio della forza, e la violenza sulle donne come sulla Madre Terra li riguarda come uomini. «Come testimoniare il male senza dimenticare il bene» è una delle pratiche quotidiane di donne che parlano, scrivono della guerra con parole di donne, di scrittrici, di pensatrici, sottraendosi così alla disperazione. Una pratica che porta a parlare di pace non in contrapposizione alla guerra, come fanno gli uomini, anche quelli che hanno parlato di “no armi” e di “obiezione di coscienza”. Un modo «per salvaguardarsi dalla forza del male e salvaguardare uno sguardo lucido su ciò che accade». «La pace non è l’assenza di guerra ma è un modo di vivere, di abitare il pianeta, un modo di essere esseri umani», «pace da sempre è una parola che si usa a conclusione della guerra, ma nessuna guerra si è chiusa con la pace ma con trattati a cui è seguita un’altra guerra», «la pace va costruita fuori dalla guerra, dentro di noi», vogliamo «una civiltà in cui i conflitti si risolvano diversamente». Le donne di potere belliciste, che in nome dell’uguaglianza e della parità con gli uomini non portano sulla scena pubblica la loro differenza, fanno paura quanto gli uomini perché «possono distruggere l’umanità». L’uguaglianza con gli uomini «non ci porta in avanti e va ripudiata». «Non dimenticare il bene» è saper vedere la speranza nel buio del male, per sottrarci alla disperazione. Speranza nel «desiderio che dà energia», «nelle relazioni», «nelle buone notizie» come quella che a Vicenza ha vinto un giovane sindaco che sa ascoltare le donne e prendersi cura della città. Speranza nel cambiamento della relazione tra donne che hanno provocato e che «non sta dove l’avevano messa gli uomini nel patriarcato» come nel caso della madre dell’assassino di Giulia Tramontano, uccisa con la creatura che portava in grembo, «che si è appellata alla madre della ragazza per cercare un filo» che le unisse, due donne non “rivali” ma “solidali”. Speranza «nella mediazione della relazione materna come mediazione con gli uomini». Speranza viene da storie dove agisce il materno come nel fabbricante di mine antiuomo che quando il figlio piccolo gli dice «ma tu sei un assassino», abbandona quel mestiere di morte e diventa un volontario sminatore nei Balcani per salvare vite. Speranza nella pratica artistica dove – come ha detto Katia Ricci, curatrice della mail art “Donna vita, libertà” che ha accompagnato il convegno – agisce già la mediazione materna perché gli artisti «parlano in lingua materna». Un «servizio di cura obbligatorio per gli uomini» aprirebbe alla mediazione materna? Idea avanzata da Alberto Leiss e rimasta aperta così come aperto ad altri incontri tra donne e uomini è rimasto il convegno di Milano.
(Il Quotidiano del Sud, 17 giugno 2023)