di Oren Ziv
Un’adolescente israeliana è in carcere per aver rifiutato il servizio militare. Sofia Orr spiega perché non abbia mai dubitato della sua scelta nonostante in Israele la repressione contro chi si oppone alla guerra sia durissima
Domenica mattina [24 febbraio scorso, Ndt], la diciottenne obiettrice di coscienza israeliana Sofia Orr è arrivata al centro di reclutamento dell’esercito vicino a Tel Aviv e ha dichiarato il suo rifiuto a prendere parte al servizio militare obbligatorio per protestare contro la guerra di Israele a Gaza e contro l’occupazione. Seconda adolescente israeliana a rifiutare pubblicamente la leva per motivi politici dal 7 ottobre, dopo Tal Mitnick, che lo fece a dicembre, Orr è stata condannata a 20 giorni iniziali nel carcere militare di Neve Tzedek, che saranno probabilmente estesi se continuerà a rifiutare l’arruolamento.
«L’atmosfera attuale è molto più violenta contro chi ha le mie convinzioni, quindi ovviamente ho più paura, ma penso che di questi tempi la cosa più importante sia esprimere una voce di resistenza», ha detto a +972 e Local Call in un’intervista la settimana scorsa. «Scelgo di rifiutare l’arruolamento perché non ci sono vincitori in guerra. Lo stiamo vedendo ora più che mai. Tutte le persone, dal fiume Giordano al mare [Mediterraneo], soffrono a causa di questa guerra e solo la pace, una soluzione politica e la presentazione di un’alternativa possono portare a una vera sicurezza».
Orr ha spiegato che aveva già deciso di rifiutare la leva obbligatoria molto prima dell’inizio della guerra, a causa «dell’occupazione e dell’oppressione che l’esercito impone contro i Palestinesi in Cisgiordania». Gli attacchi di Hamas del 7 ottobre, ha detto, «ci hanno mostrato ancora una volta che la violenza porta solo ad altra violenza e che dobbiamo risolvere il problema pacificamente invece che con altra violenza».
Circa trenta attivisti di sinistra, la maggior parte dei quali adolescenti, hanno accompagnato Orr al centro di reclutamento. Hanno organizzato una protesta a sostegno della sua decisione di rifiutare l’arruolamento, suscitando l’interesse di diversi studenti ultraortodossi venuti per ottenere l’esenzione dal servizio militare.
Ogni anno migliaia di adolescenti israeliani vengono esentati dalla leva, principalmente per motivi religiosi, ma solo una manciata si dichiara politicamente contraria al servizio militare. Oltre alla variabilità della durata del carcere, l’obiezione di coscienza può ridurre le prospettive di carriera e comportare stigmatizzazione sociale.
Ciononostante, Orr era una dei 230 adolescenti israeliani che avevano firmato una lettera aperta all’inizio di settembre, prima della guerra, annunciando la loro intenzione di rifiutare l’arruolamento come parte di una più ampia protesta contro gli sforzi del governo di estrema destra israeliano di limitare il potere della magistratura. Collegando la riforma del sistema di giustizia al dominio militare di lunga data di Israele sui Palestinesi, gli studenti delle scuole superiori – che si sono organizzati sotto lo slogan “Giovani contro la dittatura” – hanno dichiarato che non si sarebbero arruolati nell’esercito «finché la democrazia non sarà assicurata a tutti coloro che vivono all’interno della giurisdizione del governo israeliano».
Con la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica israeliana pienamente favorevole all’attacco dell’esercito a Gaza all’indomani del 7 ottobre e con gli/le attiviste di sinistra che affrontano la pesante repressione della polizia e la persecuzione politica per aver preso posizione contro la guerra, la posta in gioco per gli obiettori di coscienza si è elevata ancora di più. Nella seguente intervista, Orr spiega perché non ha mai vacillato nella sua decisione di rifiutare l’arruolamento.
Come sei arrivata alla decisione di rifiutare il servizio militare?
Ho sempre sentito l’impegno più verso le persone che verso gli stati, ma [la mia opposizione alla leva] ha iniziato ad apparirmi chiara quando avevo circa quindici anni. Ho iniziato a pormi delle domande: chi avrei servito effettivamente nel mio esercito? E cosa li avrei aiutati a fare? Ho capito che, se mi fossi arruolata, avrei preso parte e avrei normalizzato un ciclo di violenza decennale. Non solo mi sono resa conto che non potevo arruolarmi, ma anche che dovevo fare tutto il possibile per porre fine a tutto ciò e per resistervi.
Spero che parlare apertamente di cosa significhi per me l’arruolamento spinga altre persone a riflettere sul proprio arruolamento e su quanto faccia loro del bene o meno. Lo faccio con empatia, solidarietà e amore per tutti gli Israeliani che vivono in Israele e per tutti i Palestinesi che vivono a Gaza e in Cisgiordania, indipendentemente dalla nazionalità o dalla religione, semplicemente perché credo che ogni essere umano meriti di vivere una vita sicura e degna.
Hai formato le tue opinioni in anni in cui molti israeliani liberali protestavano contro il governo: dalle proteste “Balfour” a Gerusalemme nel 2020 e alle proteste “Kaplan” a Tel Aviv nel 2023. Eri attiva in quei movimenti?
Quelle proteste erano importanti, ma non si concentravano su quella che credo sia la radice del problema. Quindi è stato molto importante per me andare lì e ampliare la discussione. La società israeliana si sforza di ignorare l’occupazione e i palestinesi, pensando che questo problema passerà. Ma non sta passando, come vediamo adesso. Il problema non scompare solo perché smetti di guardarlo. Rimane e continua a crescere finché non esplode.
Qual è stata la reazione alla tua decisione tra amici, familiari e compagni di scuola?
Molte persone pensano che io sia strana e non capiscono di cosa stia parlando. Dicono che sono ingenua ed egoista e talvolta anche che sono antisemita, una traditrice, e che mi augurano ogni genere di cose violente. Per fortuna non tra le mie cerchie più immediate, ma ho ricevuto risposte di questo tipo sia da amici che da parenti.
Le cose sono peggiorate molto dopo il 7 ottobre con l’ondata di “disillusi”, persone che prima del 7 ottobre credevano che ci fosse la possibilità di una soluzione [politica pacifica] e dopo hanno perso la speranza in tale possibilità. Ma il 7 ottobre ha solo dimostrato che è necessaria una soluzione politica, altrimenti la violenza continuerà.
C’è un desiderio di vendetta senza precedenti nella società israeliana. Consideri il tuo rifiuto come un tentativo di persuadere il pubblico o come un’azione dichiarativa di fronte a questa ondata?
Per me è importante farlo anche se non convinco nessuno. È la cosa giusta da fare. Ma non so se lo avrei fatto pubblicamente se non avessi avuto la speranza che le persone potessero sentire e ascoltare e che ci fosse ancora spazio per il dialogo. È molto importante raggiungere la società israeliana, in particolare i giovani che stanno nella mia stessa condizione, e mostrare loro perché ho scelto quello che ho scelto.
Hai amici o conoscenti che attualmente prestano servizio a Gaza?
Dentro Gaza, no. Ma ho molti amici che prestano servizio o hanno prestato servizio nell’esercito. Voglio il meglio anche per loro. Voglio che lo Stato smetta di mandare soldati a morire. Voglio che possano vivere una vita normale, ma loro non la vedono in questo modo.
L’incontro con i Palestinesi ti ha aiutato a prendere la decisione di rifiutare?
Le mie opinioni erano già relativamente consolidate anche prima che iniziassi a incontrare i Palestinesi, ma questo mi ha aiutato a renderle tangibili: incontrare persone che
ci viene insegnato fin da piccoli che sono nostre nemiche e vedere che sono persone comuni proprio come me, che vogliono vivere le loro vite proprio come me. C’è un grave problema di disumanizzazione, quindi questi incontri sono davvero importanti. Nel momento in cui smetti di credere che i Palestinesi siano persone, è molto più facile respingere l’idea che le loro vite valgano qualcosa e ucciderli senza pensarci due volte.
Hai preoccupazioni riguardo al fatto di andare in prigione, soprattutto nel clima attuale?
Sì, senza dubbio. L’atmosfera attuale è molto più violenta ed estrema contro chi ha le mie convinzioni e chi prende la mia decisione. Quindi è ovvio che ho più paura sia del periodo in prigione che della reazione esterna. Ma questo è anche ciò che rende questa scelta più importante per me. In questi tempi è molto importante esprimere questa voce di resistenza e solidarietà, non restare a guardare.
(Traduzione a cura di Riccardo Carraro per Dinamopress da 972 Mag, 16 marzo 2024)