di Monica Ricci Sargentini
Per lui quella bambina non doveva nascere, quasi nove anni fa pregava la donna con cui aveva una relazione di non metterla al mondo, di non “condannarlo a morte”.
«Per una che dovesse andare avanti con la gravidanza anche se il maschio non vuole […] è una violenta […] perché penso, dio cristo, che l’aborto è una conquista per tutti, non solo per le donne» scriveva Armando (il nome è di fantasia) nel settembre del 2015.
Ma per lei abortire era «un gesto impensabile» e lui addirittura minacciava di uccidersi.
«Mi metto di fronte a te in ginocchio, supplicante. Non trafiggermi, non affondare la tua lama nel mio corpo. Non condannarmi a morte. Perché questo è quello che succederebbe, io ne morirei in un modo o nell’altro» scriveva a settembre del 2015.
E ancora:
«Dato che hai sequestrato il mio spermatozoo adesso è tuo? Questa è una minaccia, una minaccia mafiosa» si legge in un messaggio datato agosto 2015.
La donna porta avanti la gravidanza da sola, la bambina nasce e l’uomo non la riconosce. Ma a un certo punto ricompare chiedendo il riconoscimento della bambina, tra cui la prova del Dna, ma soprattutto il cambiamento del nome di battesimo della minore nonché l’anteposizione del suo cognome a quello della madre e altre imposizioni sul regime educativo della minore stessa. Inizia così una vicenda giudiziaria senza fine.
Oggi quella bambina ha otto anni, la chiameremo Maria, e vive nella costante paura di essere portata via alla sua mamma. Si rifiuta in modo categorico di incontrare il padre che ha fatto richiesta di riconoscimento tardivo e ora si batte nei tribunali per averla con sé. Nessun giudice ha mai voluto ascoltare questa bambina, che oggi ha otto anni, nonostante la Corte di Cassazione si sia espressa più volte in tal senso. In una relazione datata 23 luglio 2019 le maestre dell’asilo parlano di «una bambina molto intelligente, affettuosa e partecipe» che, però, regrediva ogni volta che doveva essere consegnata al padre.
«La bambina conosce la scansione del tempo, cosa piuttosto inusuale per la sua giovanissima età, e riconosce ordinatamente anche i giorni della settimana. Questo le permette di distinguere le giornate dedicate alla madre e quelle nelle quali il ritiro era previsto da parte del padre. In particolare, durante queste ultime, il suo stato d’animo notevolmente agitato durante tutta la mattinata, assumeva atteggiamenti di chiusura e auto-protezione. In particolare queste giornate erano caratterizzate da pianti inconsolabili con la continua richiesta di chiamare la madre, supplicandoci che con il padre non voleva andare» scrivono le educatrici.
Qualche settimana fa l’atto esecutivo emesso dal tribunale di Venezia, senza che sia stata svolta alcuna istruttoria, in cui la piccola viene affidata di giorno ai servizi sociali per poi tornare dalla madre di sera.
«Io sono entrata in tribunale pensando di avere tutte le ragioni e di essere tutelata, non mi sarei mai immaginata una cosa del genere, quando mia figlia aveva diciotto mesi il Ctu [consulente tecnico d’ufficio, Ndr] ha stabilito che la bambina era affetta da conflitto di lealtà e che io le inviavo messaggi subliminali» dice oggi la donna, il cui caso è stato uno di quelli presi ad esempio dalla Commissione Femminicidio come esempio di vittimizzazione secondaria.
Ora la donna ha impugnato in appello il provvedimento chiedendo intanto la sospensione. Il caso coinvolge anche il Parlamento. La senatrice Valeria Valente, che nella scorsa legislatura ha presieduto la Commissione Femminicidio, ha richiesto gli atti al tribunale per verificare come sia possibile che un meccanismo infernale del genere possa andare avanti in totale spregio delle sentenze della Cassazione. E così nel frattempo è stato investito anche il ministro Carlo Nordio.
«Ci sembra che qualcosa non quadri in ottica della riforma Cartabia. Proporremo alla commissione femminicidio di acquisire gli atti per vederci chiaro» ha detto Valente alla Dire.
Sulla vicenda è intervenuta anche la capogruppo di Alleanza verdi e sinistra alla Camera, Luana Zanella: «È un caso doloroso a cui va trovata assolutamente una soluzione, la Commissione Femminicidio se ne occupi. – ha spiegato – Conosco da tempo la donna, le sue ragioni sono molto forti, la commissione parlamentare deve riprendere in mano il suo dossier, studiarlo, verificare le criticità della riforma Cartabia e il perché il Tribunale di Venezia non abbia applicato la Convenzione di Istanbul».
(lepersoneeladignita.corriere.it, 7 maggio 2024)