8 Maggio 2024
Quotidiano Nazionale

Chi era Giovanna Marini, voce dell’impegno. Cantante, compositrice, ricercatrice: è morta a 87 anni

di redazione QN


Roma, 8 maggio 2024 – La voce di Giovanna Marini. Una voce che veniva da lontano. Dalla storia del nostro Paese, dai canti popolari, dalle canzoni contadine e da quelle di lotta. Ma anche la sua modernità, la sua ironia, la sua intelligenza: la sua compostezza. Giovanna Marini, scomparsa oggi a ottantasette anni, è stata tutto questo. La voce più limpida della canzone d’autore, di quella d’impegno politico. Una luce, all’origine della lunga e meravigliosa storia della canzone d’autore italiana.

C’è un disco, che Giovanna Marini nel 2002 ha inciso insieme a Francesco De Gregori. Si chiama Il fischio del vapore. Insieme, i due raccolgono e reinterpretano classici della musica popolare italiana. Ed è un disco che profuma di amicizia, di complicità: si sente che è il frutto di un lungo dialogo, di un rispetto reciproco, di un affetto. E di una appartenenza a una storia comune.

Nata a Roma il 19 gennaio 1937, figlia del compositore Giovanni Salviucci, allieva del leggendario chitarrista classico Andrés Segovia, Giovanna Marini è stata una delle prime, e delle più importanti cantastorie del panorama musicale italiano. Ben prima che i cantautori diventassero moda, ventata di novità, prodotto da vendere. All’inizio degli anni ’60 lei frequentava intellettuali e scrittori, da Pier Paolo Pasolini a Italo Calvino; conosceva l’esperienza di Cantacronache e incontrava i primi grandi protagonisti della canzone sociale e politica italiana: personaggi come Ivan Della Mea o come Paolo Pietrangeli, l’autore di Contessa, che diventerà canzone simbolo del ’68 italiano. Ma già prima, Giovanna Marini partecipava al Festival dei Due Mondi di Spoleto, nel 1966 a Ci ragiono e canto di Dario Fo. E intanto imparava: da una mondina, Giovanna Daffini, imparava le canzoni delle lavoratrici dei campi di riso, dal poeta sardo Peppino Marotto l’arte del racconto popolare. La canzone come vocazione, come voce degli ultimi, come strumento di denuncia sociale.

Negli anni ’70, Giovanna Marini fondò la prima scuola popolare di musica in Italia, al Testaccio. La chiamavano “la Joan Baez italiana”. Ha avuto, della Baez, la stessa forza, lo stesso coraggio di affrontare il mondo con una voce e una chitarra soltanto. Ha raccontato con le sue canzoni le lotte contadine e l’autunno caldo nelle fabbriche italiane, l’Italia degli anni di piombo e della strategia della tensione, del terrorismo. E lo ha fatto dalla prospettiva dei perdenti, di coloro che subiscono la storia. Ha raccontato l’omicidio di Pasolini, l’amico poeta massacrato all’Idroscalo di Ostia, e la vicenda di Ulrike Meinhof, la donna “suicidata” in prigione dai suoi carcerieri. Ha raccontato la tragedia mineraria di Marcinelle, le Fosse Ardeatine, la strage di Ustica. Lo ha fatto con l’approccio quasi di una giornalista, di una cronista che racconta con partecipazione, mai con distacco. E lo ha fatto anche da un punto di vista colto: per dieci anni, ha insegnato etnomusicologia all’Università Paris VIII.

Una donna grandissima la cui arte è un viaggio, un’avventura dentro la voce, dentro la Storia, dentro l’emozione. Una donna che di sé diceva: «Faccio la musica con la mia testa, con le mie mani, come i biscotti della nonna».


(Quotidiano Nazionale, 8 maggio 2024)

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