di Liliana Rampello
A volte è sorprendente provare molte e differenti emozioni solo leggendo un piccolo libro. È quanto può succedere con la Corrispondenza tra Victoria Ocampo e Virginia Woolf, che arriva in libreria per l’editore Medhelan, sapientemente curato da Francesca Coppola, e con un saggio introduttivo di Nadia Fusini (pp. 200, euro 18,00).
Nonostante il corpo delle lettere sia esile, ventitré della Woolf e tre della Ocampo, l’insieme dei paratesti che accompagnano questo dialogo a distanza lo abbracciano in modo preciso e competente, così che possiamo leggere nella condizione migliore per scoprire quante cose si nascondono dietro e dentro alle righe di due grandi donne così intelligenti e sensibili, così diverse. Il loro ritratto è brillantemente disegnato nelle prime pagine da Fusini, al punto che le vediamo nella loro presenza fisica e intellettuale, ascoltiamo la voce sempre ironica e spesso affrettata dell’una e quella ammirata e devota dell’altra, in un racconto del senso profondo del loro legame, la cui radice è per entrambe la fiducia nella libertà femminile, la fiducia che una donna debba essere libera di cercare da sé il proprio posto nel mondo.
Da questa radice spontanea nasce lo sguardo amoroso di Victoria per Virginia, da lei Victoria si sente autorizzata a credere in se stessa, nella propria scrittura, a lei sente di fatto di dovere l’essenziale: «Se c’è qualcuno nel mondo – scrive – che può darmi coraggio e speranza è lei. Per il semplice fatto di essere com’è e di pensare come pensa».
Giustamente Nadia Fusini sottolinea che siamo di fronte a qualcosa di inedito, e non è la prima volta, qualcosa che smentisce quella «febbre che regnerebbe nell’universo delle donne, e cioè l’invidia», cui molto facilmente crediamo per una falsa tradizione, una febbre ancora oggi spesso all’ordine del giorno ma che per fortuna studi, analisi e racconti di molte donne finalmente smentiscono (non perché questi sentimenti negativi non esistano, ma per illuminare quanto è sempre stato tenuto fuori scena).
L’accurata ricostruzione di Manuela Barral ci avvicina a vita, opere e desideri di Victoria, e alla sua impresa forse da noi più nota, la rivista e casa editrice Sur, che pubblicherà, affidate a Jorge Luis Borges, due importanti traduzioni di Woolf, Una stanza tutta per sé nel 1936 e Orlando nel 1937; nel ’38 “arriva” Gita al faro, tradotto da Antonio Marichalar, ma altre scritture e conferenze l’amica argentina dedica alla scrittrice inglese, consapevole che anche questa invenzione, non solo di una scrittura per sé, ma di una casa editrice per altre e altri (come la Hogarth Press di Leonard e Virginia Woolf) è comune passione, comune intenzione di incidere in una tradizione mirabile per l’una, a ridosso del vuoto per l’altra.
Ma il vero, puro piacere è posare direttamente lo sguardo sulle loro lettere: si tratta di dettagli, quelli in cui le signore della scrittura diventano impareggiabili, tra scambi di fiori e farfalle, il ritrarsi puritano di Virginia di fronte a regali «meravigliosamente inopportuni» e la sovrabbondanza di doni, omaggi che viaggiano da un continente lontano, segnati dalla nostalgia («Come fare, Virginia, per incollare l’Europa all’America e asciugare l’oceano che le separa?»), ma intanto, a Londra, l’amica dalla mente visionaria la immagina «mentre ascolta il vento muovere migliaia di ettari di erba della pampa».
Lo stile, anche il semplice stile epistolare di Virginia è sempre riconoscibile e scintillante, mai innocente perché vivo di insaziabile curiosità, quando ad esempio chiede di minuzie della vita quotidiana vuole sapere tutto: «Mi dica che cosa fa, con chi esce, mi descriva la campagna, la città, la sua casa, la sua stanza, tutto, anche quello che mangia, i gatti, i cani, e il tempo che passa a fare questo e quello». Lei deve vedere, immaginare, sognare anche quando legge una lettera. Certo poi è sobria nel suo dolore quando accenna alla morte dell’adorato nipote Julian, e franca quando mostra tutta la sua irritazione per l’inaspettato arrivo di Victoria in compagnia di Gisèle Freund con la sua macchina fotografica. Suo è infatti uno dei più famosi ritratti della Woolf, che compare insieme a molte altre immagini in questo prezioso e delicato libro il cui arrivo è bene festeggiare.
(Alias – il manifesto, 12 maggio 2024)