di Alberto Leiss
Ho passato l’ultimo fine settimana in una situazione imprevista, e assai ricca. Si riuniva nuovamente a Torreglia – tra i bellissimi Colli Euganei, in una Casa delle suore Salesie squisitamente ospitali, circondata da un parco incantevole – un seminario a cui ho partecipato per circa un quarto di secolo. Poi c’è stata un’interruzione di sei anni. Un po’ per il Covid, ma anche perché c’era stanchezza, forse qualche delusione o conflitto non bene elaborato? Ragioni per le quali un po’ temevo questo proposito di reincontrarsi. A volte le cose è bene che finiscano?
Citerò, tra tante amiche e amici che – ecco un primo dato essenziale – ho rivisto con grande piacere, solo la principale animatrice di questa lunga avventura: Adriana Sbrogiò, dell’associazione Identità e Differenza di Spinea, più donne e alcuni uomini che hanno aperto e mantenuto aperta la scommessa di un incontro tra femministe e maschi disposti ad ascoltare e ascoltarsi più profondamente, con il desiderio comune di inventare un modo nuovo di fare politica insieme.
Adriana, aprendo l’incontro, ha dato voce ai sentimenti di paura e angoscia per un mondo che precipita nella guerra, all’ansia del “che fare” per opporsi, reagire, modificare questa situazione che sembra sopraffarci. Forse la spinta a ritrovarsi è nata principalmente da questo desiderio: la consolazione degli affetti che certamente legano alcune, non poche né irrilevanti, relazioni personali e politiche. Questo è sicuramente accaduto. Ma non “solo” questo.
Il titolo dell’incontro era molto semplice e aperto: “Incontriamoci… così come siamo… sulla soglia”.
E l’idea, la situazione di essere “sulla soglia”, ha motivato molti pensieri e parole. E il meraviglioso canto di una amica (cito anche lei: Lucia Staccone). Come connettere l’esperienza di un passato di cui nel presente si ha la sensazione di non ritrovare nessuna riconoscibile eredità. Come cercare una via diversa da quella seguita sin qui e decidersi a imboccarla. Come dialogare con l’altro che potrebbe essere un nemico. Come allargare i margini che avvertiamo sempre più stretti per una azione politica capace di legare la capacità di cambiare noi stessi a quella di cambiare il mondo.
Vedere, dal proprio punto di osservazione e dalle proprie esperienze, che guerra e violenza non agiscono solo su relativamente lontani campi di battaglia, ma anche nella nostra quotidianità. Nelle parole. Nelle vite sofferenti di molte persone, spesso giovani, aggredite dalla povertà, respinte da chi dovrebbe accoglierle, costrette in ambienti ostili. C’è quindi molto da fare per condividere i tentativi di ricostruire umanità spezzate.
Ma l’esitazione sulla soglia non può durare a lungo. Dopo mezzo secolo di pensieri, movimenti, pratiche politiche del femminismo – è stato detto a un certo punto – oggi la realtà è radicalmente cambiata perché le donne sono libere come non sono mai state.
Ci sono donne che, giunte al potere, lo esercitano in forme che seguono quelle maschili? Fino alle scelte belliche? Questo certamente non ci piace, non lo accettiamo, ma non nega che siano libere di farlo o di rifiutarlo.
È questa libertà che parla della “fine” del patriarcato come forza simbolica capace di ordinare le vite di tutti (e molto si è discusso anche di come ridefinire, o abbandonare del tutto, genealogie maschili capaci di aiutare la reinvenzione delle relazioni tra figlio e madre, tra figlio e padre, e come essere padri se lo scegliamo).
Siamo noi uomini a indugiare ancora troppo sulla soglia di una nuova libertà. Troviamo la forza di riconoscere e di liberarci da ciò che ci porta alla violenza e alla guerra. Guadagneremmo una vita migliore.
(il manifesto, 4 giugno 2024)