di Martina Ferlisi
Quasi 17mila vaccini contro morbillo, parotite e rosolia, un milione di alberi piantati, 535 case convertite all’energia solare. Sono solo alcuni esempi di quanto si potrebbe ottenere se Stati Uniti, Cina, Russia, Francia, India, Israele, Pakistan e Corea del Nord decidessero di destinare rispettivamente un secondo, un minuto e un’ora della loro spesa per la produzione e manutenzione delle armi nucleari a rispondere ai reali bisogni delle persone.
Li ha conteggiati la Campagna internazionale per la messa al bando delle armi nucleari (Ican) –insignita del Premio Nobel per la pace nel 2017 –, coalizione di più di seicento organizzazioni in cento Paesi, impegnata nella lotta per l’abolizione delle armi nucleari e nella promozione per la firma del Trattato per la loro proibizione (Tpnw), approvato dalle Nazioni Unite il 7 luglio 2017 e attualmente ratificato da settanta nazioni, tra cui non c’è l’Italia.
Dal 16 al 22 settembre ha infatti lanciato una settimana di mobilitazione dedicata all’attivazione contro l’assurda quantità di denaro destinata alle armi nucleari con lo slogan: “No money for nuclear weapons – Niente soldi per le armi nucleari”.
I programmi sulle armi nucleari tolgono fondi pubblici all’assistenza sanitaria, all’istruzione, ai soccorsi in caso di calamità e ad altri servizi vitali. Ci sono pertanto 91,4 miliardi di altri impieghi per cui questo denaro potrebbe essere investito meglio che corrispondono ai 91,4 miliardi di dollari di spesa annua –173.000 dollari al minuto o 2.898 dollari al secondo – sostenuta dai nove Paesi dotati di armi nucleari per i loro arsenali, secondo l’ultimo rapporto dell’Ican “Surge: Global Nuclear Weapons Spending 2023”.
Nello specifico sono gli Stati Uniti a spendere la quota maggiore, pari a 51,5 miliardi di dollari e superiore a quella di tutti gli altri Paesi dotati di armi nucleari messi insieme. A seguire, troviamo la Cina che ha speso 11,8 miliardi di dollari e, al terzo posto, con 8,3 miliardi di dollari, la Russia.
Dal report emerge inoltre che la spesa è aumentata del 13,4%, pari a 10,8 miliardi di dollari, rispetto all’anno precedente. La cifra è in crescita già da alcuni anni. Allo stesso tempo i dati del rapporto annuale dello Stockholm international peace research institute (Sipri) sullo stato degli armamenti del 2023, rilevano che all’inizio del 2022, il numero complessivo di testate nucleari nel mondo era in diminuzione.
“Quello che sta succedendo, e che penso sia molto grave, è che i Paesi in possesso di armi nucleari affermano che non ricorreranno mai a queste perché sono troppo pericolose, troppo distruttive –commenta Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete italiana pace e disarmo. – Eppure, guardando i numeri, i Paesi stanno investendo le loro risorse non tanto in termini quantitativi ma qualitativi, stanno cioè ammodernando i propri arsenali, le proprie testate, i propri lanciatori e questo è in contraddizione con le loro dichiarazioni.”
Secondo Vignarca campagne come quella lanciata da Ican sono quindi fondamentali non solo a livello comunicativo per accrescere la consapevolezza dell’opinione pubblica sulle spese nucleari, soldi pubblici di cui il settore privato ha guadagnato almeno il 30%, “ma servono anche a rendere evidente la direzione dello sviluppo strategico delle armi nucleari – osserva Vignarca. – Contrariamente a quanto viene detto, sono un pericolo reale in quanto stanno diventano sempre più centrali per le superpotenze, e questo non ci fa stare tranquilli”.
La Rete pace disarmo, in Italia uno dei partner principali di Ican, aderisce e promuove la settimana che sarà l’occasione per organizzare momenti di confronto e webinar in collaborazione con Ican stessa, pubblicare materiale di approfondimento e rilanciare i dati della campagna internazionale focalizzandosi sul nostro Paese.
Sarà importante anche ampliare la discussione e far emergere quanto il tema delle spese nucleari sia strettamente connesso con quello del coinvolgimento delle banche che finanziano il settore. “Rendere chiaro questo aspetto può contribuire a orientare le scelte dei consumatori e spingerli a fare pressione affinché gli istituti finanziari siano più trasparenti e rendano conto dei loro investimenti”, spiega Vignarca.
Con Rete pace e disarmo ci sarà anche la campagna Senzatomica. Insieme dal 2016 promuovono la mobilitazione “Italia, ripensaci” per l’adesione del nostro Paese al Trattato di proibizione delle armi nucleari.
“Questa settimana di mobilitazione ci aiuta a rilanciare un’idea che noi promuoviamo da quando siamo nati, nel 2011: il fatto che sia necessario rimettere al centro le persone e la società civile – dice Alessja Trama coordinatrice delle politiche e della ricerca di Senzatomica. – È così diffuso il senso di impotenza e rassegnazione sul tema del nucleare, alimentato anche dall’assenza di dibattito pubblico in merito, che uno dei lavori più impegnativi per noi è quello di andare a disinnescare questo sistema di convinzioni che finisce per rendere accettabile la loro esistenza.”
Senzatomica lavora quindi principalmente con i giovani, attraverso laboratori nelle scuole e una mostra itinerante, multimediale e gratuita che dal 2011 ha raggiunto 420mila persone in più di 80 città. L’obiettivo è quello di aiutarli a prendere consapevolezza affinché rivendichino un mondo senza armi nucleari e rifiutino il paradosso della sicurezza fondata su queste. Come è possibile parlare di sicurezza ricorrendo agli gli unici dispositivi mai creati in grado di distruggere tutte le forme di vita complesse sulla Terra? Second Ican, basterebbe infatti meno dello 0,1% della potenza esplosiva dell’attuale arsenale nucleare globale per provocare un devastante collasso agricolo e una carestia diffusa.
Nonostante ogni 29 agosto si celebri la Giornata internazionale delle Nazioni Unite contro i test nucleari e si ribadisca l’impatto negativo dello sviluppo di questi ordigni inumani sulle comunità che vivono nelle vicinanze dei luoghi di queste esplosioni. E nonostante il prossimo anno ricorreranno gli ottant’anni dalle bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki. C’è ancora bisogno di parlare di armi nucleari.
(Altreconomia, 11 settembre 2024)