Dall’aprile del 2023 nel Paese africano si combatte una guerra civile logorante che sta mietendo migliaia di vittime tra la popolazione, ma che è ignorata completamente o quasi dai media internazionali.
Nel silenzio generale di gran parte della stampa internazionale, da oltre un anno in Sudan si sta consumando una guerra civile sanguinosa e lacerante, che vede contrapposto l’esercito alle Rapid Support Forces (RSF), le milizie paramilitari responsabili anche del genocidio in Darfur, precedentemente agenti per conto del governo sudanese.
Come denunciato in un post Instagram dalla community Land Palestine, le RSF, finanziate dagli Emirati Arabi, avrebbero massacrato oltre 600 civili negli ultimi giorno solo ad Al Jazira, uno degli Stati del Sudan; 130 donne avrebbero commesso un suicidio di massa per non essere stuprate dai militari delle Rapid Support Forces. Fra i 29 casi di stupro confermati nello Stato, la vittima più giovane avrebbe appena sei anni.
Interi villaggi sono stati spazzati via, le fattorie, come denunciato dall’Ufficio per il coordinamento degli affari umani delle Nazioni Unite, sono state date alle fiamme, così come mercati e case. «Hanno sparato in testa ai bambini – afferma la ragazza del video – ucciso i pazienti negli ospedali, le persone con disabilità […] centinaia di donne si suicidano perché è il solo modo per sfuggire alle violenze sessuali».
Ad Al-Sireha, nel nord di Al Jazira, nella sola giornata di venerdì sono stati 124 i civili assassinati. In totale, dal 15 aprile 2023, giorno di apertura del conflitto, la guerra civile sudanese ha causato più di 24.800 vittime, ma i medici affermano che, con le vittime non segnalate, il bilancio potrebbe arrivare a 150.000.
Sono invece 11 milioni gli sfollati, 24 milioni le persone che l’ONU stima abbiano bisogno di assistenza, in quella che sembra essere una guerra “dimenticata”. Solo ad Al Jazira la scorsa settimana, secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) ci sono state almeno 46.500 persone sfollate.
E, come accade di solito nei conflitti, gli stupri di guerra sono una delle armi più sordide e abiette usate dai combattenti: l’Unità per la lotta alla violenza contro le donne del Sudan, un ente governativo, ha fatto sapere di aver avuto segnalazioni di donne stuprate dai militari dell’RSF al fine di umiliare gli uomini dei villaggi, costringendoli ad abbandonare le proprie case. Secondo un rapporto di Human Rights Watch pubblicato a luglio in tre città donne di età compresa tra i nove e i sessant’anni sono state violentate e stuprate in gruppo dall’inizio della guerra, così come accaduto a uomini e ragazzi incarcerati.
Hala Al-Karib, direttrice regionale dell’Iniziativa strategica per le donne nel Corno d’Africa (SIHA), già lo scorso febbraio aveva dichiarato che oltre il 70% degli stupri era avvenuto collettivamente, di fronte alle famiglie delle vittime. Secondo il commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Volker Türk, circa l’80% degli stupri è opera delle RSF, ma solo 1 su 20 verrebbe effettivamente denunciato.
La guerra civile sudanese ha avuto inizio dopo che il governo instauratosi con il colpo di stato del 2021 avrebbe dovuto insediarsi; le RSF, chiamate anche Janjaweed, hanno compiuto crimini contro l’umanità in Darfur secondo Human Rights Watch.
(Roba da Donne, 29 ottobre 2024)