1 Novembre 2024
Avvenire

La nuova legge. La femminista Ekis Ekman e la “schiavitù” della maternità surrogata

di Antonella Mariani


L’industria della maternità surrogata «è per sua natura criminale»; riduce la donna a merce e il bambino a oggetto di compravendita: per questo Kajsa Ekis Ekman, femminista svedese, giornalista e scrittrice, da anni impegnata in una battaglia contro la gestazione per altri (Gpa) e contro la prostituzione, gioisce per la legge approvata la settimana scorsa dal Parlamento che definisce il ricorso alla maternità surrogata “reato universale”, cioè perseguibile anche se i cittadini italiani vi fanno ricorso all’estero. «Sono stata molto felice quando ho saputo che la legge è stata approvata. È ora che la maternità surrogata venga riconosciuta per quello che è: un reato. Spero che la legge italiana costituisca un precedente e venga seguita da altri Paesi. Contrariamente a quanto mi aspettavo, non è stato il Nord, ma il Sud del mondo (India, Thailandia…) a vietare per primo la maternità surrogata. Finalmente un Paese del Nord lo segue. È importante che anche i Paesi in cui vivono gli acquirenti si assumano la responsabilità del comportamento dei loro cittadini».

Nel suo libro “Essere ed essere comprate” (Meltemi, pag. 250, euro18) lei sottolinea la somiglianza della maternità surrogata alla prostituzione. Un paragone che sorprende. Può spiegarne i motivi?

Entrambe sono industrie che mercificano le donne e trasformano in prodotti ciò che è al fondamento della vita umana. Nella prostituzione ciò che viene venduto è il sesso senza riproduzione. Nella maternità surrogata, si tratta di riproduzione senza sesso. In entrambi i casi, però, è la donna a essere venduta e le viene negato il punto fondamentale dell’attività stessa: non prova piacere dal sesso e non ottiene alcun figlio dalla riproduzione. In entrambi i casi è totalmente disumanizzata.

Lei è una femminista e come tale combatte la sua battaglia culturale contro la maternità surrogata. Ma è difficile, perché l’immagine prevalente è quella della coppia con problemi di sterilità che desidera realizzare il sogno di un figlio, e dall’altra parte la madre surrogata è presentata come una donna generosa, una sorta di fata madrina… In realtà sappiamo che si tratta di un business mondiale, e per questo difficile da ridurre o sradicare. Insomma, dottoressa Ekman, qual è la strada per abolire la maternità surrogata?

La maternità surrogata è, come disse la prima madre surrogata americana, Elizabeth Kane, un trasferimento di dolore. Una donna è infelice perché non può avere figli, ma quando compra la maternità surrogata, prende il figlio di un’altra donna. Le madri surrogate non sono robot. Hanno sentimenti e spesso sono traumatizzate dalla perdita del figlio. Inoltre, al bambino viene negato il diritto di conoscere la propria madre, il che rappresenta una violazione dei diritti dei bambini. Per rispondere alla domanda, la maternità surrogata non è difficile da sradicare: gli Stati devono solo smettere di essere complici. Se gli Stati non riconoscessero più la validità dei contratti di maternità surrogata, questa industria scomparirebbe da un giorno all’altro.

In Italia la legge sulla maternità surrogata “reato universale” è stata presentata dal centrodestra e ha spaccato la sinistra. Da un lato le femministe storiche plaudono a un tentativo di contrastare la gestazione per altri, pur con alcuni distinguo, dall’altro i partiti di opposizione al governo la considerano liberticida, punitiva per le coppie omosessuali maschili e discriminatoria per i bambini. Cosa ne pensa?

Qualsiasi movimento di sinistra che voglia essere credibile deve opporsi alla vendita dei bambini. Altrimenti è un movimento per i diritti dei capitalisti.

Qual è la situazione globale oggi? Ci sono casi gravi di sfruttamento delle donne che potete documentare?

L’industria della maternità surrogata è per sua natura criminale. Viola una serie di leggi nazionali e internazionali. Quando un Paese dopo l’altro la vieta, si sposta e si installa in un altro luogo. Quando l’India e la Thailandia hanno chiuso i battenti, si è spostata in Nepal e poi in Messico. Finge di essere un’attività rispettabile e crea siti web patinati, ma in realtà è una mafia. Ci sono casi in cui le donne vengono rapite e vendute per la maternità surrogata. Ci sono casi in cui lo sperma utilizzato non è nemmeno quello degli acquirenti, ma quello dei gestori, che semplicemente violentano le donne per metterle incinte. Ci sono estorsioni di ogni tipo. Alcune donne sono morte a causa della maternità surrogata, come Natasha Caltabiano e Brooke Brown.

Qualcuno dice anche che dovrebbe essere autorizzata la gestazione surrogata solidale, escludendo solo quella commerciale. Questo potrebbe eliminare il sospetto che ci sia uno sfruttamento dei più ricchi sui più poveri. È d’accordo?

Se non pagare un lavoratore elimina lo sfruttamento, allora dovremmo abolire del tutto gli stipendi! Nessuno dovrebbe essere pagato e tutti i lavoratori dovrebbero lavorare per solidarietà con i loro padroni. No? Be’, se non potete chiederlo a un lavoratore che produce il vostro telefono cellulare, perché dovreste chiederlo a una donna – che deve rimanere incinta per nove mesi, rischiare l’infertilità e la morte, sottoporsi a tutti i tipi di interventi medici dolorosi, astenersi dai viaggi e dalle attività sessuali, partorire e rimanere con cicatrici sul corpo a causa del cesareo – gratuitamente? A me non sembra solidarietà, sembra schiavitù.

Lei è svedese. Com’è la situazione nei Paesi scandinavi?

È molto negativa. Le leggi non sono al passo con la situazione. Nel frattempo, l’industria della maternità surrogata si è affermata qui e vende bambini a prezzi scontati dall’Ucraina. Nel 2011 c’è stata un’indagine statale che ha proposto di vietare la maternità surrogata, ma non è mai stata votata in Parlamento. Non esiste alcuna legge e le autorità sono complici di questi crimini gestendo i casi di adozione presso le nostre ambasciate nel mondo.

Un’ultima domanda: la maternità surrogata riduce la maternità a un lavoro, disumanizza la madre e in definitiva il bambino. Perché è così difficile da capire?

Perché quando i ricchi vogliono qualcosa dai poveri, fanno credere che sia un diritto umano ottenerlo.


(Avvenire, 24 ottobre 2024)

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