di Nadia Terranova
Scrittrice sassarese, di sé lascia pochissime tracce biografiche, muovendosi sempre ai limiti del canone. Collabora con il cinema di Fellini e Zavattini e consegna alla storia del costume indimenticabili istantanee di personaggi letterari e no. E due romanzi che hanno per protagoniste donne, amiche, sorelle.
Nel discorso sempre molto frequentato sul canone letterario, il crinale più interessante negli ultimi tempi non è tanto la distinzione tra ciò che è canone (o lo è stato o forse lo sarà) e ciò che non lo è, ma la galassia scivolosa e multiforme di quegli autori che vivono un’esistenza indifferente e parallela ai parametri, e in quella zona, solo in apparenza opaca, trovano a volte un’originale forma di fortuna. Appartiene a questa genìa Leila Baiardo, scrittrice sarda di cui si rintracciano poche notizie biografiche e ancor meno fotografie, che la ritraggono quasi tutte da anziana, negli ultimi anni della sua lunga vita conclusasi qualche anno fa. On line è difficile scoprirne la data di nascita, le bandelle dei suoi romanzi la omettono (un vezzo adorabile) e il canone l’ha ignorata: le scarne notizie su di lei riportano perlopiù informazioni filtrate da lei stessa.
Nata a Castelsardo, vicino Sassari, dopo la maturità classica si sposta a Roma, dove inizia a collaborare con le maggiori riviste letterarie della sua epoca, tra cui Noi donne e Nuovi Argomenti, occupandosi di interviste e recensioni. Nel 1976 pubblica con Bompiani L’inseguimento, proposto all’editore da Cesare Zavattini, con il quale all’epoca l’autrice collaborava nella stesura di soggetti per il cinema. Il romanzo ha un buon riscontro di critica, Leila Baiardo è piuttosto conosciuta nell’ambiente letterario e cinematografico, lavora con i fratelli Taviani e, sette anni dopo il suo esordio, vince il Premio Noi Donne con il romanzo Sogno d’amore. Risalgono a quegli anni i suoi ritratti di poeti e scrittori oggi raccolti nell’antologia Incontri, pubblicata per la prima volta in formato elettronico nel 2010 da La Recherche e oggi disponibile in cartaceo nel catalogo delle Commari, piccola e attivissima casa editrice indipendente che di Baiardo sta curando l’opera omnia e la riscoperta. Incontri è un libro fresco e spigolosamente sincero, ideale per fare la conoscenza del personaggio, prima ancora che dell’autrice: in queste pagine gli intellettuali vengono fotografati con una libertà che può apparire disarmante nell’eccesso di sussiego al quale oggi siamo abituati. «Devo dirlo subito e poi spararmi. Era una donna antipaticissima» scrive Baiardo di Elsa Morante. E di Jolanda Insana: «Un’altra antipaticona (quasi quanto la Morante) ma una buona poetessa». Amelia Rosselli «era intelligentissima e contemporaneamente stupida e pazza. Forse più pazza che stupida. Ma non è un giudizio e tantomeno una diagnosi. Anch’io sono pazza. E a volte anche stupida». Leila Baiardo ricorda poi le lunghe quasi oniriche conversazioni con Sandro Penna e i suoi guai con i ragazzini di cui si invaghiva e che portava nella casa dove viveva con la madre, l’affabilità affettuosa di Federico Fellini, il dialogo fulmineo e ricco di presagi con Anna Proclemer.
Sempre, la notizia delle morti di questi conoscenti la coglie anni dopo, quando è già lontana dai loro mondi e appartata, quasi isolata, tanto che si ritrova a fare le condoglianze a sé stessa, celebrando a ogni addio un altro pezzo della fine del suo mondo. In questo librino irresistibile l’autrice mette insieme con audace disinvoltura Antonio Delfini e Mike Bongiorno, Topazia Alliata e Fred Buscaglione, il tutto introdotto da un’accorata prefazione di Elio Pecora, che per Leila Baiardo, «donna molto singolare e con un’esperienza di vita assai varia », si augura un destino preciso: «Vorrei tanto che toccasse a Leila, anche se con troppo ritardo, l’attenzione che merita dalla famiglia ampia e composita di chi cerca nella narrativa la qualità e il piacere, la complessità del reale e la leggerezza del sogno».
Il lavoro della casa editrice Le Commari raccoglie questo augurio.
La santa e Dies Illa, i due romanzi in catalogo, giocano sulla stessa schiettezza di scrittura, sulla stessa fresca ironia, ma qui il registro è alto, non più di costume si tratta ma di opere di valore letterario, che rielaborano ritagli di vissuto dell’infanzia e dell’adolescenza per restituirli in forma narrativa. In Dies Illa, esplicitamente ambientato a Castelsardo, le protagoniste sono Ela e Mira, al secolo Electa e Mirìce, sorelle adolescenti, molto diverse fra loro: attraverso le loro vite possiamo leggere il cambiamento epocale della Sardegna negli anni Cinquanta e Sessanta, quando l’isola fu travolta dall’arrivo del turismo e i sogni di tutti offuscati dal miraggio del benessere. Anche La santa ha per protagoniste una coppia di ragazze, stavolta cugine: una delle due, la più capricciosa e stupida, ma forse invece la più illuminata, costruirà intorno a sé un’aura mistica, raccontando di avere delle visioni e ritirandosi sempre più a una vita mortificata: il filo esile che tiene insieme egocentrismo e santità viene tenuto magistralmente dall’autrice fino alle ultime pagine.
Abbiamo iniziato la conoscenza di Leila Baiardo premettendo una sua estraneità al canone, è vero. Eppure, di Dies Illa Toni Maraini ha scritto: «C’è qualcosa di antico in questo libro, un pathos che evoca i grandi romanzi del Novecento». Inoltre, Baiardo figura tra le cinquanta scrittrici della mitica antologia Il pozzo segreto, pubblicata da Giunti nel 1993, accanto a nomi come Natalia Ginzburg, Goliarda Sapienza e Maria Bellonci. Forse il canone è più imprevedibile di quanto pensiamo. Forse l’augurio di Elio Pecora si sta segretamente avverando. Forse possiamo solo godere di una scrittura interessante e disinteressata a vendite e promozioni, lasciando ad altri la costruzione dei totem editoriali.
(Robinson – Repubblica, 27 ottobre 2024)