di Giusi Fasano
Capita che a un incontro pubblico, in qualche titolo di giornale, in una discussione privata, ci sia qualcuno che a un certo punto dica: ci sono anche donne che uccidono uomini però non se ne parla mai. A parte il fatto che non è vero; le rare volte che succede se ne parla eccome. Ma quello che risulta fastidioso è la tracotanza di chi accende un faro sulle (pochissime) storie di violenza femminile convinto che sia giusto dare a quella violenza la stessa rilevanza che meritano – tutti assieme – i casi di uomini che si accaniscono contro le donne. Che poi: quando parliamo di violenza contro le donne spesso evochiamo unicamente il femminicidio ma come sappiamo c’è molto altro. C’è la violenza economica, con la quale si alzano muri per tenere prigioniera una donna in una relazione, soprattutto quando ci sono di mezzo dei figli. C’è la violenza psicologia, sottile e tagliente come lama di coltello. E ci sono moltissime donne che portano i segni della brutalità del partner: lividi, fratture, lesioni di vario genere non di rado gravi o gravissime.
Nel libro “Il futuro mi aspetta” (Feltrinelli Up) scritto a quattro mani con Daniela Palumbo, Lucia Annibali racconta del suo “dopo”. Dopo l’acido in faccia ordinato per lei dal suo ex e dopo il tempo della sofferenza fisica, del processo. In quel dopo ci sono anche gli incontri con i ragazzi nelle scuole e le domande più frequenti che le rivolgono. Una, definita «ricorrente» e «inquietante», e che in genere viene dalla voce di un ragazzo, è proprio quel «perché si parla sempre di violenza sulle donne e mai viceversa?». Lucia scrive che «è un quesito terribile che svilisce la cura e la fatica del mio racconto». E aggiunge che «è anche capitato che a questa domanda seguissero applausi di gruppi di studenti presenti… Quando succede ci resto male. Mi sembra una provocazione e dunque un’occasione sprecata».
Per quanto scoraggiante sia la domanda, la risposta è facile ed è nei dati. Donna uccisa = movente da cercare in una relazione intima, quasi sempre. Uomo ucciso = moventi vari, quasi mai legati a una relazione intima. Certo, poi sarebbe necessario andare alla radice del problema, e cioè alla domanda – questa sì – che bisognerebbe farsi: da dove arriva l’incapacità di accettare un abbandono che fa scegliere ai più violenti la morte di lei piuttosto che la vita senza di lei?
(Corriere della Sera, 27 ottobre 2024)