di Dejanira Bada
Mentre scrivo sono un po’ stanca. Ne sono consapevole. Eppure, sono quella che si può definire una libera professionista che può gestire il proprio lavoro e che ha la possibilità di non svegliarsi presto la mattina e di non timbrare il cartellino. Eppure, sono stanca. Spesso. Anche se medito, pratico yoga, addirittura insegno a meditare. Sono stanca. Stanca ma felice, perché sono libera: non ho un capo, nessuno che mi comanda e che decida per me. Scrivo, scrivo sempre molto. Articoli, libri… e questa credo che sia la mia salvezza. Perché secondo il sudcoreano Byung-Chul Han, se la cavano meglio solo i poeti e i filosofi, perché in realtà, i liberi professionisti non sono liberi proprio per niente, anzi, rappresentano La società della stanchezza, per citare proprio il titolo del suo libro pubblicato da nottetempo nel 2020.
Non solo società della stanchezza, ma una società sfinita, esaurita, in continua competizione con sé stessa, che si autodivora, si autoschiavizza, si autosfrutta, si autodistrugge. La società dell’autosfruttamento, della concorrenza spietata con il proprio Io idealizzato e che deve prevalere e brillare. Una società diversa da quella che doveva timbrare il cartellino, la società disciplinare, per la quale la felicità era rappresentata dall’abbandono delle proprie inclinazioni in favore della virtù, della morale, dal fare le cose per bene, seguendo le regole. La società della stanchezza, invece, ha fatto diventare pure le spiagge di Bali dei campi di lavoro. Perché tanto, il lavoro, oggi, te lo puoi portare dappertutto, non è bellissimo? La società dell’autorealizzazione, dell’ottimizzazione, della prestazione e del burnout come stile di vita. La società della depressione democratica, delle nevrosi e della sopravvivenza, della salute a tutti i costi come nuova divinità. Una società, la nostra, che si è persa per strada il senso di tutto: la festa solenne e la vita contemplativa.
(https://www.indiscreto.org/la-societa-della-stanchezza-di-byung-chul-han/17 novembre 2024)