29 Gennaio 2025

Il prezzo del corpo. Perché il denaro non può comprare il consenso

di Sofia Scacchetti


Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo articolo di una lettrice che si è laureata nel 2024 in giurisprudenza con una tesi in diritto del lavoro intitolata “Quando il lavoro non è lavoro. Prospettive giuslavoristiche su sfruttamento del lavoro e prostituzione”.

La redazione del sito


Cosa spinge le donne ad accettare la soggezione agli uomini? Perché ancora oggi accettano di sottomettersi al desiderio maschile? Di più: tale atto di sottomissione è davvero una scelta libera?

Il racconto più importante sulla libera scelta ci perviene dal contrattualismo classico: gli uomini, nello stato di natura, possono decidere di stipulare un accordo per sottomettersi a un potere al fine di vivere in una dimensione civile. Non si accetta più la subordinazione al potere dispotico del re come un padre-padrone; gli uomini sono finalmente liberi e possono decidere per loro stessi.

Così anche il contratto inteso come strumento prediletto del diritto civile per creare, modificare o estinguere delle situazioni giuridiche si basa sull’accordo libero prestato da due contraenti.

L’ordine politico e il potere civile, quindi, hanno un’origine non solo razionale ma anche libera, perché istituiti da uomini liberi.

I contraenti hanno, tuttavia, una caratteristica fondamentale: sono tutti di sesso maschile.

Il racconto del contratto sociale è, in realtà, il racconto di come gli uomini abbiano creato la sfera pubblica e civile dove poter operare e la sfera privata alla quale relegare le donne. Questa la tesi della teorica del contrattualismo Carole Pateman: la democrazia consensuale nella quale si crede di vivere non è mai esistita.

Tale accordo stipulato tra uomini liberi ha occultato e rimosso un altro contratto, che perpetra l’assoggettamento delle donne agli uomini, il “contratto sessuale”. Questo contratto fonda l’accesso degli uomini ai corpi delle donne. Costituisce la base delle profonde diseguaglianze di potere che ancora oggi persistono nella società: se è vero che le donne, nel mondo occidentale, non sono più per legge soggette a tutela maritale e possiedono formalmente gli stessi diritti degli uomini, sono tuttavia ancora soggette a questo contratto. L’accesso ai corpi delle donne permette agli uomini di esprimere la loro mascolinità: sono le mogli che crescono i loro figli, le domestiche che curano la loro casa, le prostitute dalle quali possono comprare sesso. Questo contratto è sempre stato nascosto; prima la disparità era codificata e accettata, con la modernità invece essa viene comodamente ignorata, preferendo trincerarsi dietro la categoria neutrale di “persona”.

Assistiamo, infatti, ai tentativi di inserire le donne nella sfera pubblica dalla quale sono sempre state escluse, evitando di mettere in luce che tale sfera di potere è stata creata a misura di uomo. Le donne sono sempre state considerate naturalmente escluse da questa sfera. Tuttavia, non vi è niente di naturale nella soggezione delle donne agli uomini: il racconto della naturale inferiorità della donna è solo il mezzo per giustificare la soggezione delle donne tramite lo strumento civile. Per poterle sottomettere sul piano giuridico agli uomini, è previsto che le donne possiedano la capacità di stipulare un solo contratto, il matrimonio. In questo modo, le donne possono formalmente occupare la sfera domestica come mogli e madri, mentre gli uomini quella civile, come veri partecipanti alla vita pubblica dello Stato.

Il misconoscimento del contratto sessuale è il tentativo di forzare l’esistenza di un consenso delle donne alla soggezione all’uomo. Se la sottomissione al potere maschile avviene tramite contratto, che è l’espressione più alta di una scelta libera e consapevole, come può non essere consensuale? Ma un ordine politico che non riconosce una diseguaglianza tra uomini e donne è in grado di garantire l’esistenza di uno strumento civile che sia davvero espressione di consenso?

La prostituzione è, forse, l’esempio più lampante di un tentativo di rendere l’accesso ai corpi delle donne come dignitoso e civile. Si tenta, con diverse strategie, di metterla sullo stesso piano di tutti gli altri lavori, come se ne condividesse la dignità, l’intenzionalità a concorrere al progresso materiale o spirituale della società, l’attitudine a essere fondamento della società civile. La prostituzione non è un mestiere salariato come gli altri perché l’oggetto del contratto di prostituzione è l’accesso al corpo della donna. Se un datore di lavoro è interessato, astrattamente, a ottenere l’uso del corpo del dipendente, ciò che vuole ottenere, alla fine, è il prodotto del suo lavoro. Solo con la prostituzione si accede all’io della persona. Non è possibile separare il corpo dalla persona della prostituta; l’atto sessuale, affinché si compia, deve essere eseguito quando la prostituta è presente. È questo il motivo per cui le prostitute (e anche le sex workers che sostengono che sia “un lavoro come tutti gli altri”) imparano subito delle tecniche di dissociazione per distaccarsi emotivamente dalla prestazione sessuale. Avere un rapporto sessuale quando il consenso è sostituito da un compenso in denaro è degradante e nessuna vuole esserne attivamente partecipe.

È, quindi, davvero paragonabile a qualsiasi altra prestazione lavorativa?

Chi è favorevole alla prostituzione sostiene che questi sono argomenti paternalisti. Sono teorie che non svelano disuguaglianze di potere tra uomini e donne ma intendono privare le donne della capacità di scelta. Ma è realmente così? È davvero paternalistico impedire la vendita del proprio corpo?

Nell’ordinamento italiano non è possibile vendere organi o tessuti, ma solo donarli, perché si vuole impedire che il donatore si senta costretto da pressioni economiche a adempiere a una richiesta del ricevente. E poiché l’accesso al proprio corpo, ai propri tessuti, non è così separabile dalla dignità umana come si vuole far credere, si vuole impedire che il donatore presti un consenso viziato dalla promessa in denaro o altra utilità da parte del ricevente. Il donatore ha ciò che il ricevente vuole: se il ricevente promettesse del denaro in cambio dell’organo, il donatore in condizioni di bisogno o vulnerabilità sarebbe comunque libero di scegliere?

Siamo testimoni di una legislazione paternalistica o del riconoscimento che non esiste la possibilità di prestare un consenso libero quando entra in gioco il corpo dell’essere umano? Che non esiste una libera scelta quando vi è uno squilibrio di potere?

Al di là delle riflessioni di ordine politico-filosofico, le ragioni a favore dell’esistenza di un consenso libero nella prostituzione si sprecano.

Viene spesso argomentato che la prostituzione è la scelta preferibile ad altri lavori più pesanti o pericolosi. La prostituzione sarebbe quindi un mestiere più dignitoso, o migliore, del lavoro in fabbrica. La letteratura in materia mostra come l’incidenza di depressione e disturbo da stress post- traumatico nelle prostitute o sex workers sia altissima, con percentuali di soggetti affetti da queste patologie di molto superiori ai lavoratori impiegati nei settori a più alta incidenza di depressione1 La prostituzione è davvero, dunque, l’alternativa accettabile? O è, piuttosto, una “scelta” fatta solo quando l’alternativa è morire di fame o vivere in povertà estrema (e non è, quindi, una scelta libera e volontaria poiché l’alternativa non è accettabile, secondo la teoria della filosofa Serena Olsaretti2)?

Se si assume che quello della prostituta sia un lavoro, deve poter prestare il suo libero consenso alla prestazione sessuale e poterlo revocare quando preferisce. Ma se è il suo “lavoro”, per potersi sostentare dovrà accettare la maggior parte dei contratti che stipula. Chi fa della prostituzione il suo mestiere, dovrà auto-limitare la sua capacità di rifiutare o negare il suo consenso per potersi assicurare un guadagno. Si può anche argomentare che tale è la condizione di tutti i lavoratori salariati. Ma nessuno di questi lavori ha come oggetto della prestazione il proprio corpo.

Occultare la persistente diseguaglianza tra uomini e donne in termini di potere politico, come insegna brillantemente Carole Pateman, significa ignorare volutamente il meccanismo che spinge gli uomini a richiedere accesso ai corpi delle donne. La prostituzione non è una scelta, perché le donne sono state escluse dalla storia che ha permesso agli uomini di farsi uomini liberi. Essa è solo uno strumento per permettere agli uomini di accedere ai corpi delle donne. La prostituzione, concretamente, è incapace di garantire un’esistenza libera e dignitosa alle donne come, invece, tutte le altre occupazioni riescono a fare.

Parlare di prostituzione ci pone due sfide: mettere in discussione il consenso e ripensare cosa intendiamo per lavoro dignitoso.


1 Park J.N., Decker M.R., Bass J.K., Galai N., Tomko C., Jain K.M., Footer K.H.A., Sherman S.G. Cumulative Violence and PTSD Symptom Severity Among Urban Street-Based Female Sex Workers in J Interpers Violence, 2021; Wulsin L., Alterman T., Timothy Bushnell P., Li J., Shen R., Prevalence rates for depression by industry: a claims database analysis in Soc. Psychiatry Psychiatr. Epidemiol., 2014.

2 Olsaretti, S., Freedom, Force and Choice: Against the Right-Based Definition of Voluntariness in The Journal of Political Philosophy, vol. 6, n. 1, 2002.


(www.libreriadelledonne.it, 28 gennaio 2025)

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