di Paola Mammani
Una donna australiana residente da anni in Italia interviene in una trasmissione radiofonica per raccontare che cosa avviene nel suo paese d’origine a proposito di quel che noi chiamiamo “suicidio assistito” e che le cronache recenti hanno riportato in prima pagina*. Con questa espressione, quasi un ossimoro, in Italia si indica la scelta consapevole di un essere umano di porre fine alla propria vita a motivo della sofferenza causata da una malattia gravemente invalidante, e di provvedervi per via di un farmaco che garantisca un passaggio dolce tra la vita e la morte.
La testimone comincia segnalando che in Australia si parla di “morte assistita”, e nota che l’espressione definisce tutt’altro modo di affrontare il problema. Racconta di un’amata sorella di ottantadue anni che ha contratto una malattia di natura progressiva che la porterà alla morte con notevoli sofferenze. In quel paese, medici competenti hanno valutato attentamente il caso e si sono impegnati a dare alla donna la possibilità di interrompere la vita quando vorrà. Le telefonano una volta alla settimana e si informano sul suo stato. L’anziana dice che per il momento riesce ancora ad avere una vita abbastanza piacevole, anche perché rasserenata dall’opportunità di avere a disposizione una dignitosa via d’uscita. Anche la nostra testimone dichiara di essere confortata dal sapere che la sorella potrà assumere a casa sua, quando vorrà, un farmaco adeguato. C’è una bella differenza – conclude – e sottintende con quanto previsto in Italia: e cioè commissioni, autorizzazioni, lunghissimi tempi burocratici.
Sono rimasta fulminata da questa testimonianza e mi è parso chiarissimo che si tratta della libertà che desidero per me. Anche Almodóvar nel suo ultimo film, La stanza accanto, l’ha messa sotto i nostri occhi ma, i miei almeno, non l’hanno saputa vedere. Abbagliati dalla bellezza e bravura delle due attrici, dai paesaggi, dai dialoghi raffinati, non hanno visto che il motore essenziale dell’azione sta proprio nella piena libertà di una delle due di porre fine alla propria vita scegliendo il luogo e la compagnia desiderata, quella dell’amica cara. Quanto al tempo, la protagonista si riserva di compiere il gesto con altrettanta libertà, in un momento di intimità con se stessa, lasciando delicatamente un segnale concordato – la porta della sua camera da letto chiusa – per avvertire l’amica del fatto compiuto.
In occasione della recente legge della Regione Toscana sul cosiddetto suicidio assistito, ho discusso del tema con qualche amica che si chiedeva se fosse necessario o addirittura nocivo legiferare sulla materia. Avrebbe preferito affidarsi alla comprensione del personale sanitario che però, come notava un’altra, è ormai molto esposto e attaccabile sul piano penale, se il proprio operato non è garantito dal diritto. Quanto a me non ho saputo far altro che abbozzare una difesa della legge, pur sapendo che è incardinata tutta sui vincoli del sistema sanitario.
Mi è apparso chiaro, così, quanto è difficile tenere stretto il bandolo del mio desiderio. Lascio prevalere le distorsioni del dibattito pubblico che offuscano il mio più intimo senso della libertà, e mi impediscono di concepire un assetto della società e dei rapporti, nel rispetto del mio desiderio, fosse anche di fronte a una materia tanto delicata e urgente. E la libertà che è in gioco per me, riguarda tutti, specialmente noi donne, per più di un motivo. Siamo noi ad accompagnare più spesso verso la fine della vita quelle donne e quegli uomini particolarmente doloranti che rischiano di dipendere in tutto o per gran parte dalla cura degli altri. Siamo inoltre le più longeve e la nostra generazione è la più numerosa. Molte hanno deciso di non avere figli e quelle che ne hanno li vedono, sempre più spesso, nell’impossibilità di farsi carico della vecchiaia dei loro cari. Dovremo cavarcela, tutte, in compagnia delle nostre amiche. Che la fine ci sia lieve il più possibile è una battaglia che possiamo combattere e vincere. Prima di finire nelle note pastoie del paese, medici obiettori in prima fila, facciamo che il diritto intervenga solo per il minimo indispensabile a garantire la nostra libertà e la serenità di chi abbiamo vicino, al di là di ogni inutile e forzata medicalizzazione.
(*) https://www.raiplaysound.it/audio/2025/02/Prima-pagina-del-15022025-b9dc3527-38b3-4100-924d-7889cb3049f9.html da 1:08:58
(www.libreriadelledonne.it, 16 febbraio 2025)