di Marino Niola
Se non sei padrone della tua lingua non sei in grado di imparare le altre. Lo diceva Cesare Segre, uno dei più grandi critici letterari e linguisti del Novecento, per intendere che la nostra lingua madre custodisce la nostra identità e visione del mondo. Insomma è la nostra prima patria.
E proprio questo lo spirito che anima la Giornata internazionale della Lingua madre che si celebra oggi. A istituirla nel 1999 fu l’Unesco per commemorare i drammatici moti del 21 febbraio 1952 a Dacca, capitale dell’attuale Bangladesh, dove molti studenti furono colpiti e uccisi dalla polizia mentre manifestavano per il riconoscimento della loro lingua, il bengalese, come una delle due lingue nazionali del Pakistan.
L’iniziativa dell’organizzazione culturale delle Nazioni Unite è un segnale importante soprattutto in un tempo come il nostro in cui molti pensano che conoscere l’inglese sia quasi quasi più importante che conoscere l’italiano. Nulla di più falso. È ovvio che la conoscenza delle lingue straniere è fondamentale nel nostro mondo globale e interconnesso. Ma i nostri ragazzi non domineranno mai né l’inglese né il cinese, se non possiedono il nostro idioma.
Perché le idee e i pensieri, per essere ben tradotti devono essere compresi e formulati correttamente da chi parla. Che è il contrario di quel che succede oggi visto che una percentuale sempre maggiore di connazionali non riesce a comprendere il significato di ciò che legge nella nostra lingua. Figuriamoci in un’altra. La verità è che i limiti del nostro linguaggio sono i limiti del nostro mondo.
E l’idioma nel quale nasciamo è la nostra fabbrica della realtà. Il luogo di formazione del nostro patrimonio di giudizi, valori. competenze e sentimenti. Se perdiamo questa ricchezza non diventeremo certo poliglotti, ma apolici.
Stranieri anche a sé stessi. Che vagano per le vie di Babele. Senza nemmeno sapere a che santo votarsi.
(Venerdì di Repubblica, 21 febbraio 2025)