26 Ottobre 2005
il manifesto

Il gran rifiuto di Rosa Parks

Scompare con lei una figura definita da Time tra le più influenti del XX secolo. Il suo nome è legato alla difesa dei diritti civili da quando rifiutò di cedere a un bianco il suo posto sull’autobus. Un gesto simbolico dietro al quale c’è un complicato lavoro di relazioni politiche
Alessandro Portelli

Era il settembre del 1973, ero appena arrivato allo Highlander Center di New Market, Tennessee – una storica istituzione del movimento operaio negli anni `30 e del movimento per i diritti civili dagli anni ’50 in poi. Entro nell’ufficio del direttore Mike Clark per salutare, e si affaccia una segretaria: «C’è Rosa Parks al telefono». Fu come se mi avessero detto che aveva telefonato Carlo Marx: una figura mitica di fondatrice della mia stessa coscienza civile si manifestava viva e presente nel quotidiano – e in contatto con un’istituzione da sempre in odore di sovversione. Mike Clark e Myles Horton (il fondatore di Highlander) mi spiegarono poi che Rosa Parks era stata a Highlander e aveva partecipato a gruppi di lavoro e di formazione politica prima del suo storico rifiuto di obbedire alle norme della segregazione nei pubblici trasporti di Montgomery, Alabama. I media e la leggenda hanno alimentato la sua figura come quella di una anziana cucitrice che non cede il posto a un bianco perché è stanca e le fanno male i piedi; in realtà, Rosa Parks era perfettamente cosciente del significato politico di quanto stava facendo, il suo gesto era stato preparato accuratamente (e non era neanche una vecchietta, all’epoca del suo gran rifiuto aveva quarantatre anni). Per un po’ mi dispiacque avere perduto quell’immagine romantica; ma in cambio avevo acquisito tutta un’altra percezione, tutto un nuovo rispetto, di quel che era stato il movimento dei diritti civili, della sua lunga e consapevole gestazione, e del coraggio collettivi di cui questa donna straordinaria era espressione, della memoria storica e della visione strategica che avevano messo in moto il movimento e lo avevano continuato. C’era senza dubbio una componente di indignazione spontanea, di mobilitazione immediata, nel movimento dei diritti civili; ma quello che Rosa Parks ha dimostrato è che esso fu frutto anche di una grande intelligenza politica diffusa.

 

Rosa Parks non era stata la prima donna nera a rifiutare di alzarsi in un autobus di Birmingham: c’era stato già un caso, addirittura nel 1939. Nelle occasioni precedenti – effettivamente spontanee e non preparate – le autorità erano riuscite a distorcere i fatti diffamando le protagoniste e sostenendo di averle arrestate per altre, piccole, trasgressioni all’ordine razziale dell’Alabama. Ma questi episodi spontanei avevano indicato una strategia possibile; e Rosa Parks era stata scelta per ripeterli proprio grazie alla la sua irreprensibile figura morale e civica, che rendeva impossibile mascherare il suo arresto con motivazioni altre che non la difesa dell’ordine razzista.

 

Alle sue spalle c’era tutta una rete di relazioni che avevano preparato il suo gesto e la risposta da dare al suo arresto: c’era, naturalmente, la National Association for the Advancement of Colored People, che aveva condotto le battaglie legali contro la segregazione (compresa la vittoria alla corte suprema nel caso Brown vs. Board of Education che nel 1954 aveva dichiarato incostituzionale la segregazione scolastica); ma c’erano anche figure come E. D. Nixon, sindacalista della Brotherhood of Sleeping Car Porters, gli addetti alle carrozze letto, la più grande organizzazione sindacale afroamericana. Solo in un secondo momento, a cose fatte, fu chiamato in causa un giovane ministro metodista, da poco arrivato a Montgomery, noto anche lui per la sua inattaccabile moralità e la sua rispettabile moderazione: Martin Luther King, Jr. (più tardi, anche King andò agli incontri di Highlander, e per questo lo bollarono come comunista).

 

Insomma, il movimento dei diritti civili aveva acquistato visibilità attraverso una serie di gesti e personaggi simbolici ma questi erano stati il risultato di un lungo, complicato, pericoloso lavoro di relazione, di preparazione politica, di memoria storica condivisa: senza una rete del genere il compatto boicottaggio dei trasporti pubblici che l’intera collettività afroamericana di Montgomery resse per più di un anno, non sarebbe stato possibile. Il potere simbolico di Rosa Parks stava proprio nel modo in cui combinava un impegno politico cosciente con un’immagine casalinga e quotidiana: una donna qualunque, e una donna eccezionale, insieme.

 

Due parole vanno spese proprio a proposito del luogo scelto per aprire la sfida alla segregazione, a Montgomery, e per commentare la strategia adottata. I tram e gli autobus segregati sono da sempre un dei luoghi più invisi del razzismo istituzionale, dai romanzi di fine `800 ai Freedom Rides degli anni `70: l’efficacia simbolica del gesto di Rosa Parks era accentuata da decenni di risentimenti e di rabbia accumulati nei mezzi di trasporto. Ma c’è di più: come hanno dimostrato le vicende dell’uragano Katrina a New Orleans, in un paese che ha fatto dell’automobile e del trasporto privato la sua icona rappresentativa, gli afroamericani sono gli utenti principali dei trasporti pubblici (e quelli che più soffrono della loro mancanza). Colpendo gli autobus, il movimento di Montgomery colpiva il potere locale proprio là dove i neri erano i clienti principali, una fonte di reddito per le istituzioni – e così inaugurava quella strategia di boicottaggi in cui gli afroamericani, spesso esclusi dai luoghi della produzione, usavano il loro potere di consumatori come strumento di pressione e di lotta.

 

Qualche giorno fa, Condoleezza Rice ha accompagnato il ministro degli esteri inglese, Jack Straw, in visita a Birmingham, Alabama, dove nel 1963 quattro bambine (una era sua amica) furono uccise da una bomba razzista in una chiesa. Con accenti che, per una volta, sembravano quasi veri, la Rice ha ricordato (ma come se fossero cose solo del passato) la sua infanzia in Alabama, il razzismo e la segregazione in cui era cresciuta. Ma l’impegno politico di Rosa Parks non si era fermato ai quei giorni; anche senza assumere ruoli di leadership, è continuato fino ad oggi perché ancora oggi il razzismo alza la sua brutta testa. Il fatto che dobbiamo anche Condoleezza Rice a Rosa Parks è un paradosso; ma costituisce una ragione di più per non permettere che si dichiari chiusa la storia rappresentata da Rosa Parks e che sia la Rice a impadronirsi della sua memoria e del suo coraggio.

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