21 Marzo 2004
El Pais Semanal

La Nobel senza paura

Intervista a Shirin Ebadi
Georgina Higueras

traduzione di Clara Jourdan

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Lei ha detto che il maschilismo è una malattia, come l’emofilia.
R. In effetti, l’emofilia è una malattia che si trasmette attraverso le madri. Alcune madri hanno nel proprio corpo gli elementi nascosti della malattia, e anche se loro non ne sono affette, la trasmettono ai figli e li fanno ammalare. Considero questo male simile alla cultura patriarcale nel mondo. Nel sistema patriarcale le donne sono le vittime, ma al tempo stesso sono quelle che trasmettono tale cultura ai figli maschi. Non si può dimenticare che ogni uomo oppressore è stato cresciuto da una madre. Le donne stesse fanno parte del ciclo di espansione del maschilismo.

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Lei dice sempre che il concetto di uguaglianza tra i sessi l’ha imparato in casa. Che ruolo ha avuto suo padre nella sua formazione?
Ha avuto un ruolo molto importante nella formazione della mia personalità. Eravamo tre sorelle e un fratello. Mio padre ha dato a tutti e quattro la medesima libertà e la medesima quantità di soldi per le nostre spese. Ho imparato l’uguaglianza tra l’uomo e la donna da mio padre. Mio padre mi ha dato pace, e non strillava mai. Quando eravamo bambini e facevamo baruffe, ci guardava e diceva “molto bene”, prendeva il suo libro e si metteva a leggere. Allora capivamo che non gli era piaciuta la nostra litigata e non era soddisfatto del nostro comportamento.


E sua madre?
Mia madre è una casalinga che ha dedicato tutta la sua vita e il suo amore ai figli. Mia madre ha la stessa mentalità di mio padre, solo che è una donna ansiosa.

 

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La storia dell’Iran è parecchio tormentata; nonostante ciò lei ha sempre avuto aspirazioni. E’ vero che da bambina voleva essere ministra della giustizia?
Questo fu più tardi, quando finii la Facoltà di Diritto e diventai giudice. A quel tempo desideravo essere ministra della giustizia, ma adesso non più! Adesso penso a qualcosa di maggior peso che essere ministra, ed è aiutare a far sì che si rispettino i diritti umani.

 

Come lei stessa ha confessato, a casa sua non comanda né lei né suo marito, ma le loro due figlie, e la minore, Nargis, dice che vuol essere presidente.
Quando aveva otto anni, mia figlia lesse nel suo libro che secondo la Costituzione iraniana solo l’uomo poteva diventare presidente. Mi guardò arrabbiata e mi disse: “Che posso fare? Io volevo essere presidente”.
Adesso ha appena cominciato a studiare diritto, e non è impossibile che un giorno abbia i meriti e i titoli sufficienti a diventare capa di Stato.


La donna deve essere ambiziosa?
No, ciò di cui la donna iraniana ha bisogno è prepararsi a riprendere e a rendere stabile il suo ruolo nella società. Il futuro dell’Iran è delle donne.


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Perché è diventata giudice?
La giustizia è sempre stata una questione primaria per me, ed è questa la ragione per cui scelsi la professione giuridica. Questo stesso principio mi spinge ad attivarmi nella difesa dei diritti umani.
Le piacerebbe tornare ad esercitare?
Essere giudice è molto difficile con le leggi attuali. Io sono contro molte di esse. Non potrei, per esempio, condannare una donna a essere lapidata a morte.

Che cosa ha rappresentato per lei il premio Nobel per la pace?
Ha per me il significato che il mondo ha accettato che l’islam non è una religione del terrore; che è arrivato alla conclusione che le donne musulmane non sono in una buona situazione e che dà valore alla campagna delle donne per la libertà

 

 

Il mondo intero fu sorpreso quando il comitato del Nobel annunciò il suo nome. Ma pare che lei se lo aspettasse già da tempo.
Ho sempre pensato che un giorno avrei vinto quel premio, ma pensavo che lo avrei ottenuto a 80 anni. Credevo di dover scrivere molti più libri, fare molte più conferenze e molti più viaggi, ma ho vinto il premio 25 anni prima di quanto avevo pensato.

 

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Qual è stato il suo momento più felice?
Tanti. Quando vedo che la gente è felice, lo sono anch’io. La felicità è contagiosa, come la tristezza.

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