Ida Dominijanni
Dalli e dalli, ce l’hanno fatta. Non solo a creare l’utero artificiale, usando quello stesso
collagene con cui ci rifanno la faccia quando con l’età rischiamo di rimetterci in
sex-appeal. Ma soprattutto a far titolare tutti i giornali del pianeta che finalmente si puòvenire al mondo senza la madre. Un bell’impiccio in meno per l’onnipotenza maschile, chefin qui nell’utero materno trovava, prima che un’accoglienza talvolta connivente, un limitesempre invalicabile: uomini o donne si nasce da madre, e per gli uomini qui sta da sempre il primo, ineludibile e insormontabile impatto con la differenza femminile e con l’asimmetria dei due sessi rispetto alla riproduzione della specie.
La scienza postmoderna è una strana bestia che va spesso a nozze con l’immaginario
premoderno. L’invidia per la maternità, che come struttura basilare dell’inconscio non deve avere proprio niente da invidiare (scusate il bisticcio di parole) all’invidia del pene e dev’essere antica quanto il mondo e i suoi abitanti, con l’aiuto della tecnica del terzo
millennio trova il modo di passare all’atto e al contrattacco. Non c’è più niente da
elaborare, solo un sacco di cose da fare: prelevare cellule da un corpo femminile,
ricavarne un utero, metterci dentro un embrione, tirare fuori la creatura. Senza madre,
olé. Il gioco è fatto.
Strana faccenda, questa della scienza che riduce il corpo a cosa dimenticando la lezione della psicoanalisi, che nel corpo ci ha insegnato a vedere la superficie di iscrizione dei processi mentali, emotivi, sentimentali. Fuori dall’utero materno e dentro un utero artificiale, che ne sarà della relazione primaria, quella del bambino/a con la madre? Fior di ginecologi (uomini) esperti in procreazione assistita erano pronti a giurare, sui giornali di ieri, che il problema non esiste, perché non c’è alcun dato empirico che dimostri che quella relazione intrauterina effettivamente si produca e abbia un qualche effetto sulla vita futura del nascituro. Non ci sono dati empirici, capite? Se la psicoanalisi ne ha qualcuno, lo adduca, ma non ne ha perché, come si cerca di dimostrare da quando è nata, non è una scienza esatta ma una fabbrica di favole.
Giurano gli stessi ginecologi che l’utero artificiale sarà invece molto utile, per dare un figlio anche a quelle donne che non possono portarlo nel loro utero. Un altro paradosso mica male, questo feticismo della maternità a tutti i costi che arriva a fare a meno della madre.
Salvo poi deprecare la pratica dell’utero in dono, perché in quel caso a decidere chi deve nascere e come non è un medico, un tecnico, uno scienziato, ma il rapporto fra due donne che si mettono d’accordo fra loro, lasciando l’onnipotenza del sesso forte fuori campo.
Infine. Fatto l’utero artificiale, seguirà l’artificio legale. La relazione intrauterina fra la
madre e il feto, fra la matrice della vita e la vita in formazione, è l’unico serio argomento da opporre ai molti fautori dello statuto dell’embrione: dove questi vedono due individui, la madre e l’embrione, da dotare di pari personalità giuridica, c’è invece una relazione inscindibile e dispari, con l’embrione che dalla madre dipende e che dunque non può essere titolare di un diritto a sé stante o addirittura contrapposto al suo. Ma se questa inscindibile relazione salta, praticamente o virtualmente, per via tecnica, che dire? Non si potrà spedire l’embrione nella macchina artificiale senza assicurargli almeno dei diritti. E così, tolta di mezzo la madre, avremo finalmente ottenuto il risultato epocale di mettere d’accordo il diavolo e l’acqua santa, cioè lo scienziato pazzo e papa Wojtyla. Che insieme e appassionatamente, perché no, potrebbero finalmente trovare collocazione nell’uterone di collagene a tutti gli embrioni soprannumerari del pianeta, e ripopolarlo come vogliono nel caso che le guerre globali, fatte indovinate da quale sesso, esagerassero in effetti collaterali.