Enzo Martines
Egregio direttore,
ho ritenuto di rivolgermi a Lei, con la presente, per rispondere a due personali esigenze maturate seguendo la cronaca delle ultime settimane. La prima relativa alla richiesta, da più parti invocata, di esprimersi pubblicamente, da uomo pubblico, sul tema della violenza sulle donne; la seconda per dichiarare il mio personale disagio quando questo tema irrompe nella cronaca e pone la dimensione maschile, oggettivamente, in una posizione critica, difficile e imbarazzante.
In questi giorni abbiamo assistito alle prese di posizione, soprattutto del mondo femminile, con richieste aperte alla condivisione, alla complicità, perché anche il nostro mondo, quello maschile, risponda ed emargini, anche formalmente, quei comportanti, che a tutte le età a tutte le latitudini, ci riferiscono di violenze sull’altro sesso.
Son cambiati i costumi, le donne si sono emancipate, gli equilibri sentimentali si sono, nel tempo e di recente, molto modificati, lo schema dei ruoli familiari si è altrettanto trasformato. Nelle chiacchiere da salotto, nei talk show televisivi della fascia pomeridiana, si discute della fine del “maschio”, si tratta la questione col senso del ridicolo, denunciando superficialmente la perdita di senso del ruolo maschile.
La fine del machismo è ormai cosa acquisita, il detto per cui: “l’omo è omo e ha da puzzà”, non tocca nemmeno lontanamente gli uomini della mia, della nostra generazione, la forza del confronto tra uomo e donna si gioca ormai su altri piani, al ruolo dell’uomo si sostituisce la natura dell’uomo, a come quindi egli si pone nei confronti della famiglia, a come porge le sue attenzioni nelle relazioni, la sua autenticità di individuo di genere.
Non sopporto le immagini delle donne violentate, mi vergogno. Non sopporto che donne e ragazze si sentano in colpa e rifiutino il proprio corpo perché hanno subito la violenza di un uomo.
Vale anche per le prestazioni del “branco” come si dice usualmente. Cioè di quel gruppo di adolescenti che vicendevolmente si giustificano e aggrediscono la preda per saziare l’impeto genitale. Niente rossori, niente tentennamenti riguardosi e curiosi, solo azioni mirate ad annientare la sconosciuta da uno sconosciuto se stesso.
Alcuni giorni fa in un dialogo con la maestra Elvia Franco si ragionava sulla pedagogia rivolta ai bambini delle elementari, sul senso dell’educazione a scuola. Voglio rubare alla maestra una frase che ho trovato illuminante e nella quale mi riconosco come individuo e come individuo maschio. Elvia ha detto: bisogna insegnare la passione della cura.
Quello che io, quelli della mia generazione, quelli che conosco e con i quali ho più volte condiviso questi ragionamenti, siamo abituati a proporre all’altro sesso, è la natura di un mondo (quello maschile) articolato, ma cosciente del tempo in cui vive, pronto a misurarsi con le richieste di attenzione, di collaborazione nei progetti di vita, nella competizione della seduzione reciproca, nella nuova dimensione della paternità.
Così penso a mia figlia e a come sarà importante conoscere e gestire la propria sessualità e la propria dimensione relazionale. Anche lei si confronterà con l’altro sesso e spero che incontri una nuovissima generazione di maschi.
Il problema non sono le donne, sono gli uomini. Nella distorsione del rapporto tra generi, i maschi sono colpevoli. Colpevoli quando cedono alla semplificazione materiale del rapporto, colpevoli quando rinunciano al confronto, alla curiosità, al rispetto, alla tenerezza.
Appassioniamo, caro direttore, le giovani generazioni di maschi, appassioniamoli alla cura di se stessi nella nuova dimensione di esseri umani, di genere, consapevoli della loro natura e dunque del loro ruolo.
Lo facciano la scuola, le istituzioni pubbliche, debelliamo insieme l’opaca visione di un mondo maschile in crisi di identità, rendiamo alle nuove generazioni il senso di una civiltà che progredisce nella serenità delle relazioni reciproche.
Abbiamo la fortuna di vivere in una città che dà prova di civismo anche nei temi qui brevemente trattati, ma nessuno e soprattutto coloro che sono coscienti del problema e lo sanno risolvere, ha il dovere di testimoniarlo e tramandare il senso della propria profonda emancipazione.
Grazie per l’attenzione.
Enzo Martines