di Vita cosentino
Guardai indietro, dicono, per curiosità,
ma potevo avere, curiosità a parte, altri motivi.
da “La moglie di Lot” di Wislawa Szymborska
Quando si lavora a ferri arriva il momento di calare le maglie. Se ne chiude una, due a ogni giro e solo questo permette di andare avanti, anzi il lavoro rimane informe senza questa operazione che dimensiona, tornando indietro, chiudendo una maglia alla volta. Calare le maglie è una figura che si presta bene a dire la sostanza della politica di un passo indietro. Annunciata dall’editoriale, percorre tutto il numero come una mossa che mette chi legge nella posizione di fare il passo, calando le pretese, calando i toni, per capire, per esserci. Non vi troverete uno sviluppo di argomentazioni che potrebbero essere a 360 gradi e interrogare l’occidente e le sue politiche umanitarie oppure il comune eurocentrismo, per esempio. Non è detto che non si faccia in futuro. Questo numero sceglie di farlo in pratica, a partire da contesti vicini e quotidiani, come la scuola ormai abitata da mamme, papà, ragazzi e ragazze di altre culture e di altre religioni, oppure mogli, mariti e figli contesi. Mi parla di una esperienza di libertà – rispetto a qualsiasi lavoro e situazione – che si apre quando non so a priori cosa è giusto. E richiama alla mente C’è altro di Luisa Muraro (VD 48), soprattutto quando dice che dalla stupidità e dalla ingiustizia in cui tendiamo a cadere, ci salva, non l’etica, come oggi si pretende, ma sempre e solo il senso che, vicino a tutto quello che siamo e facciamo, c’è altro. Da rileggere anche Le sofferenze di un padre, di Monica Benedetti (VD 67) e Voglia di stravincere (VD 68) in cui Marina Terragni intervista Lia Cigarini.
Un altro aspetto della mossa della politica di un passo indietro lavora su come guardare a grandi discussioni che sembrano lontane e non lo sono. È il caso della Lettera di Ratzinger su cui il numero insiste per la centralità della differenza sessuale e di un approfondimento di riflessione da parte maschile e da parte femminile, che riguarda anche la civiltà e il mondo in cui viviamo. Rimando per prima cosa alla Civiltà del presepe (VD 24) in cui si costata che a forza di rivendicazioni da una parte e di perbenismo dall’altra, ci troviamo a vivere in una società dove, se una donna partorisce in una stalla, che cosa succede? Succede che, zac!, le portano via la creatura per darla in adozione. Nello stesso numero Rosetta Stella scrive Elogio di San Giuseppe. Ne parla come di un padre in tonalità minore e di questo fa la sua grandezza e ricorda la devozione speciale che aveva per lui Teresa D’Avila.
Andando indietro sulle orme della Lettera, per prestarvi ascolto senza pregiudizi, segnalo tre contributi significativi, rispettivamente di un teologo cattolico, di una pastora valdese e di una studiosa della tradizione ebraica, a far intravedere il grande lavoro di pensiero cominciato certo non da oggi. Rileggere una riflessione precedente di Pier Sandro Vanzan, che scrive anche su questo numero: in Teologia della differenza sessuale (VD 32/33), come studioso della Bibbia e del pensiero di Karol Wojtyla, precisa la sua posizione su uguaglianza – differenza – reciprocità. Gli rispose allora polemicamente in La differenza di Dio (VD 34/35) Letizia Tomassone sostenendo il suo essere in una relazione di differenza e di alterità in primo luogo con le altre donne. Da ultimo segnalo L’orientamento dell’alterità: nuova luce sulla pace, di Catherine Chalier, autrice delle Matriarche. Riflette a partire dal gesto di Isacco che riconosce Rebecca sua moglie davanti al re dei Filistei, Abimelek, nemico degli Ebrei, senza più preoccuparsi della propria incolumità. Nella sua idea il presupposto del riconoscimento della donna da parte dell’uomo davanti a una terza persona è centrale per ogni riflessione sulla pace. Per riconoscimento intende un gesto elementare in cui l’unicità di un uomo o di una donna vive orientata dall’alterità.