Dino Leon
Lia Cigarini (VD 43) propone un lavoro politico sul simbolico (sulla relazione), perché la relazione sia un significante alternativo ai grandi significanti del capitalismo: capitale, salario, lavoro, mercato. E si contrapponga alla competitività, che è l’eccitazione del desiderio maschile che spiega capitale, lavoro, ecc., mentre, dice Lia, “è un dramma per le donne”.
Io credo di aver sottovalutato, in passato, la profonda incidenza del simbolico maschile sugli uomini al lavoro. A questo sono stato portato da tutta la tradizione di sinistra, che ha dato per scontato il simbolico maschile creando una dittatura del capitale sociale (Urss) per contrapporsi alla fascistizzazione (=bellicizzazione) del capitale privato. Questa è la nostra storia, dalla quale dobbiamo non solo passare oltre ma uscire.
Il conflitto fra i sessi sul luogo di lavoro c’è, ma qual è il simbolico femminile che possa tematizzare il conflitto? La relazione conflittuale tra i sessi, questa è la tematizzazione. Io stimo che non sia sufficiente, perché è necessaria anche la produzione di simbolico maschile alternativo, modificato dalla relazione.
Se poniamo al centro la relazione fra i sessi, le faremo produrre un simbolico che ancora non conosciamo, ma che scaturirà dal fatto che la relazione, cammin facendo, avrà subordinato a sé il capitale, il salario e, perché no? il mercato. E, intanto, sì al simbolico del darsi una mano, della cooperazione dei sessi nella differenza. E liberare il maschile dalla servitù del salario contrattato, della divisione rigida del lavoro imposta dal capitalista.
Non la femminilizzazione del capitale, dunque, ma la femminilizzazione del lavoro. Il lavoro volontario, il tempo di lavoro come variabile. Il lavoro autonomo, buon inizio di lavoro volontario, come alternativa flessibile, aperta a tutti, al lavoro salariato, e alternativa legislativamente protetta. E’ questa una simbolizzazione completa? Non credo. Per ora, contentiamoci del conflitto.
La simbolizzazione maschile alternativa a quella capitalistica si completerà man mano che si approfondirà la crisi del capitale a cui il maschio è ancora irresistibilmente legato (pensare al “capitale umano” inventato dagli americani).
Anche Lia, in fondo, dice che ci vuole questo quando, perentoria, afferma che “il capitalismo è in crisi”. Certo che lo è: non può crescere, distrugge ricchezza, gioca con i differenziali (derivativi) dei simboli cartacei della ricchezza (sotto il segno monetario non c’è niente), il profitto non basta più a legittimare il capitalista. Tutto questo, però, è visto in termini di crisi catastrofica. Troppo. Non c’è ancora quel che annuncia la trasformazione, la femminilizzazione, il lavoro a misura di donne.