di Manuela Valentini
Nelle sue opere tende ad affrontare spesso il tema del corpo. Che rapporto ha con il suo?
Credo che nessuno di noi abbia un rapporto stabile con il proprio corpo: esso muta così come noi ci evolviamo. Peraltro la convivenza con il proprio corpo ci permette di coglierne gli aspetti più complicati e contraddittori. Quando ho cominciato a esporre pubblicamente, tuttavia, tra gli anni ’70 e i primi anni ’80, ero più concentrata sull’interiorità, poi ho sviluppato una “coscienza corporale” e quindi anche il mio lavoro si è mosso in quella direzione. Ognuno di noi ha una differente consapevolezza di sé; è un rapporto che cambia innanzitutto in relazione alla propria esperienza personale, ma anche in rapporto alla società, alla famiglia e alla comunità.
Nel 2009 ha partecipato alla mostra “Glasstress” a Venezia, creando “nuovi mondi” usando il vetro. Poi nel 2010 ha realizzato “Color Still” a Colle Val d’Elsa, usando una moltitudine di lampadine prodotte dal Consorzio del Cristallo locale. Da cosa nasce la sua predilezione per questo materiale?
Ho sempre amato il vetro. Ho iniziato a usarlo a metà degli anni ’80, quando nel mio quartiere organizzarono un workshop interamente dedicato a questo materiale e aperto a tutti gli artisti. Lì creai la mia prima opera. Poco tempo dopo, qualcuno mi insegnò come dipingere sul vetro, compreso quello di scarto. È sempre stato un piacere lavorare con questo materiale, anche perché mi ha dato l’opportunità di stare in mezzo alla gente. E poi mi serve per rendere al meglio le fattezze del corpo; ha ottime qualità e una luce particolare che sembra provenire dalla contemplazione di un Cristo di ghiaccio. Insomma, è un materiale bellissimo che dà l’illusione, come la pelle, di essere fragile e impenetrabile al tempo stesso. Il vetro può essere usato in tanti modi e trovo che, per un artista, sia una fantastica esperienza adoperarlo.
Cosa ne pensa del ruolo della donna nella società di oggi? Pensa abbia finalmente raggiunto una sua identità e autonomia?
Dipende dal tipo di società e da chi la costruisce. Gli esseri umani si sparpagliano per creare società che offrano loro abbastanza spazio per sopravvivere. C’è però forse una contraddizione tra la società stessa e certi modi di essere sottomessi alla natura. Infatti, se da una parte gli uomini si fondono con la natura, dall’altra sono ancora sottomessi a essa. Gli uomini hanno sempre vissuto ai limiti della società, quindi occorre spesso spingerli fuori dai confini e questo vale sia per i singoli individui che per i gruppi.
Considerata la sua frequente presenza in Italia, si direbbe che lei sia molto affezionata al nostro Paese. È così?
In Italia sono venuta ancor prima di lavorare a Milano, quando ero più giovane. Poi c’è stato un susseguirsi di mostre, la più grande delle quali è quella che ho realizzato alla Querini Stampalia nel 2005, e adesso mi sto preparando a esporre alla Fondazione Mario Merz di Torino. Qui sto imparando, sto guardando ciò che i miei colleghi hanno creato venticinque anni fa; loro sono molto preparati, io invece non so nulla, quindi vivo la mia esperienza qui come fosse un’avventura misteriosa.
Cosa ne pensa dello scenario artistico italiano?
Non lo conosco. Conosco bene gli artisti dell’Arte Povera e della Transavanguardia, gli artisti storici raggruppati in grandi movimenti, ma so molto poco dell’arte contemporanea italiana. L’arte è cultura, se non conosci la cultura non puoi sapere nulla di quel Paese e trovo eccitante il fatto di studiare la storia per capire ciò che è accaduto tra una gnerazione e l’altra. Amo molto viaggiare e tutte le volte che vengo in Italia cerco di visitare posti diversi.