Amalia Piccinini
Da un po’di tempo avevo una cosa dentro e continuavo a rimandarla, poi finalmente mi decido e prendo il telefono; chiamo casa di Louise Bourgeois, la sua assistente mi dà appuntamento per domenica 16 alle 3 del pomeriggio e mi dice di portare una mia opera.
Da più di 30 anni l’artista francese invita a casa sua i giovani artisti che vengono a NY da tutto il mondo per incontrarla e partecipare al suo ormai leggendario Sunday Salon, la cui regola è di portare un lavoro per la discussione. Due anni fa, un’artista che conosco raccontava a me e ad altri amici di essere andata da lei, e ci consigliava di fare questa esperienza. Quando ho chiesto al telefono se ancora fosse possibile confrontarsi con l’artista, pensavo di non avere questa opportunità, e invece all’età di 96 anni la Bourgeois è ancora curiosa di ascoltare i giovani. Louise Bourgeois ha attraversato le avanguardie a modo suo, ha dichiarato di considerarsi un’artista americana perchè in Francia non si sentiva libera di esprimersi, ha affrontato temi universali attraverso la sua arte e le sue dichiarazioni, ha creato l’installazione The Destruction of the Father e i suoi “Giant Spiders” sono apparsi nelle piazze e nei musei di tutto il mondo a ricordarci che una madre può essere un ragno che ti tiene in trappola per tutta la vita. Ha avuto una retrospettiva al MoMA di New York e proprio in questi mesi una sua retrospettiva sta viaggiando dalla Tate Modern di Londra al Centre Pompidou di Parigi, le leggende sulla sua vita e sulla sua carriera sono molte e quella che mi piace di più è che tutte le notti continua a scrivere diari, e soprattutto a disegnare incessantemente.
Domenica 16 Marzo 2008, NYC
Ore 14.30, esco di casa con la mia tela di 120 x 120 cm ben coperta, e naturalmente mi vengono incontro pioggia e vento e io comincio a preoccuparmi…
Sono sotto casa dell’artista con 10 minuti di anticipo, visto che a NY non ci sono tetti e la pioggia aumenta, metto la tela vicino a un portone rosso dove sembra non si bagni e io cammino qua e là ripassando nella mente il potenziale discorso sul mio quadro.
Nervosa, emozionata, suono il campanello; la porta si apre e l’assistente (artista francese amica di lunga data della Bourgeois) mi fa lasciare la tela in corridoio e mi fa accomodare in una stanza in cui trovo diverse persone. Saluto i presenti e girandomi vedo la Bourgeois seduta con le mani appoggiate al tavolo, indossa un camice grigio macchiato di colore e noto immediatamente che non ha occhiali da vista. Mi siedo su un divano blu, intorno a me conto altri otto giovani più l’assistente e due amici dell’artista, uno dei quali è Robert Storr, direttore dell’ultima Biennale di Venezia che da anni frequenta il Sunday Salon.
Al centro della stanza c’è un tavolino con bottiglie di liquore, vodka, bicchieri, lattine di acqua tonica, dolci e cioccolatini; l’atmosfera è casual e l’ospitalità è grande. Robert Storr dice che ci siamo tutti e che la “seduta” inizia, ci chiede solo di parlare a voce alta e di guardare l’artista negli occhi, di mostrare il lavoro a lei per prima e poi presentarlo agli altri ospiti.
Io sono la prima, appoggio la tela sul tavolo davanti a lei e viene accesa una lampada in più, introduco brevemente la mia storia e spiego che il mio quadro è parte della mia painting installation: Wearing the Silence; lei guarda e ascolta. Storr mi dice che la Bourgeois ha studiato a NY nella mia stessa scuola, io dico di esserne al corrente e aggiungo che ne sono orgogliosa, improvvisamente l’artista mi guarda e mi dice: “Perché sei così triste?”. Premetto che la mia tela è verde scuro, anzi quasi nero, così rispondo che il mio quadro è più uno stato di silenzio che non di tristezza, e lei si gira di scatto verso la sua assistente e chiede di controllare il mio nome sulla lista degli ospiti di oggi e a me questo suo impulso (non so perché) piace tantissimo. L’assistente (tra loro parlano sempre in francese) dice che sono Amalia, italiana, e la Bourgeois dice “ok, ça va”. Storr mi dice che l’artista ha “afferrato” il senso del mio quadro, lo mostro alle altre persone e poi torno al divano.
Dopo di me seguono gli altri ragazzi che vengono da tutta Europa: Londra, Vienna, Parigi, Germania, c’è anche un giovane curatore romano che presenta in francese il lavoro che ha curato recentemente in Francia.
La Bourgeois ascolta tutti attentamente e si lamenta che nessuno parli mentre vediamo un video di tre minuti di un’artista tedesca, segue un giovane francese che ha portato due grandi casse e ci costringe ad ascoltare suoni distorti e voci del passato; guardo la Bourgeois e noto che non è stanca, beve la sua acqua tonica e ascolta attenta. Gli altri artisti presentano disegni e fotografie per progetti di grandi dimensioni, lei guarda, non fa molte domande ma non le sfugge nulla, intanto viene aperta una bottiglia di champagne e la Bourgeois dice di volerne appena un dito, facciamo un brindisi composto, io non smetto di osservarla e pensare che un’icona dell’arte mi ha invitata a casa sua con generosa accoglienza. Guardo le sue mani, dietro le quali ci sono tutti i suoi lavori, le sue sculture, le sue “stanze-prigioni”, le innumerevoli opere in tessuto, ma lei si accorge che la sto fissando e mi lascia fare. Sento un profondo rispetto per la sua persona e per la sua lunga carriera, sono nella sua living room e non so che darei per scendere nel suo studio, ma questo non è possibile.
Arriva una telefonata, la Bourgeois parla in francese con l’interlocutore e sorride, deve essere un caro amico. Quante persone hanno suonato quel campanello prima di me, quasi tutte le domeniche? Mi è chiaro che almeno due cose mancano qui, oggi: la presenza del suo storico assistente che l’ha seguita per più di 25 anni e la telecamera che ha ripreso molti pomeriggi dei Sunday Salons per un documentario; ma non manca lei, Louise Bourgeois, nata nel 1911. La “seduta” si chiude. Sono le 5.30, mi alzo, saluto gli altri poi vado da lei e le stringo la mano: è un grande onore, un immenso privilegio, la ringrazio per avermi invitata, ascoltata e per l’ospitalità.
Grazie Louise.
Lei mi sorride.
Mi ritrovo sulla 20ma strada con la mia tela in mano, e mi accorgo che non piove più.
Amalia Piccinini è una giovane artista italiana che vive a New York. Chiunque voglia scriverle per chiedere consigli e suggerimenti puo’ farlo a questo indirizzo: amaliapiccinini.ny@gmail.com