di Alessandra MammÌ
Si chiama Nathalie Djurberg. È il nome di punta dell’arte svedese. Ora avrà la consacrazione alla Fondazione Prada
Fa davvero bene non vedere la televisione da piccoli. Nathalie Djurberg per esempio, quasi non sapeva che cosa fosse fino a otto anni. Forse è proprio per questo che a 30 è diventata una star della giovane arte svedese, tanto da meritarsi una enorme mostra personale alla Fondazione Prada (dal 19 aprile), di quelle tanto imponenti da lanciare un artista nell’Olimpo. O magari il merito va alla mamma maestra che la sera leggeva favole nordiche e che comprava ai suoi piccini cupi e misteriosi libri di illustratori russi.
Dunque il digiuno dalla tv e dalla zuccherosa tribù Disney sviluppano un potente immaginario. Almeno a giudicare dai risultati di Nathalie, che nonostante gli studi all’Accademia di Göteborg, capisce da sola che come pittrice non sarebbe stata un granché e s’impegna per trovare il mezzo espressivo adatto a quell’affollamento di immagini che le ruota continuamente in testa. Lo trova scavando appunto nei ricordi d’infanzia e riprendendo in mano la vecchia plastilina colorata e appiccicosa che lascia unte le dita e s’infila nelle unghie.
Con quella, fa miracoli. Costruisce interi set: esterni e interni. E interi cast: personaggi gotici, animali umanizzati, vecchi borghesi grassi e laidi alla Grosz, mostri che si nascondono nelle piastrelle e sotto le poltrone, opulente e nude signore, paesaggi fallici e esplicite scene di sesso sia pur oniriche e surreali. Il tutto in un tripudio di carte da parati allucinate, tendine a fiori, tappezzerie spesse e cariche, degne del più soffocante interno nordico. E non basta, perché tutto questo armamentario serve a raccontare inquietanti storie in film animati con la tecnica della stop motion. Quella dei pupazzi di Tim Burton o dei mitici Wallace&Gromit, per intenderci.
“Io non mi sono mai ispirata a modelli tanto alti e perfetti. A esser sincera
l’animazione hollywoodiana non mi interessa molto. Preferisco quella ungherese, che è più inquietante e abitata da personaggi sorprendenti tipo grosse vacche rosse o animaletti brutti. Perché io amo le favole per bambini che turbano gli adulti”, spiega la sorridente Nathalie, vera principessa degli elfi, dai biondi capelli lisci e occhi da gatto, seduta accanto al suo fidanzato e co-autore Hans Berg, anche lui giovane e svedesissimo, ma compositore che commenta le storie di Nathalie con valzerini stressati al computer o ossessive versioni techno delle musiche thriller alla Bernard Hermann (il prediletto di Hitchcock). Si sono conosciuti a Berlino dove ora vivono. E subito riconosciuti.
Anche Hans non ha visto la tv da piccolo perché abitava nel Nord, giocava tutto il tempo nelle foreste, si nutriva di favole con trolls e fate e viveva in una famiglia così svedese che cenava in silenzio bevendo latte, circondata di animali domestici (e non solo). Per cui i due si intendono alla perfezione, capaci come sono, ognuno nel suo campo, di traghettare il loro universo di gioco e allucinazione nella contemporaneità, capaci di costruire questo Paese delle straniate Meraviglie che a Milano prenderà forma monumentale. E per la prima volta non sarà solo un piccolo film, ma un mondo intero ovattato dal feltro che ricopre tutto il pavimento della Fondazione, abitato da gigantesche sculture-creature che arrivano da mondi animali, vegetali e minerali, scosso da improvvise metamorfosi e sogni. Per sfidarci a vivere e immaginare un mondo senza la tv.