di Donata Glori
Una bella domenica delle palme quella di domenica 16 marzo.
Tanta gente, ragazzi, famiglie per lo più, che passeggiava; qualcuno, dopo essere stato a Messa nella propria parrocchia, aveva in mano un piccolo ramo di ulivo, segno di pace, di attenzione, da riporre a casa in un vasetto oppure scambiare negli incontri.
Bella l’ottica dello scambio, concreta e simbolica, come quella della manifestazione Mani nella città che il circolo La Merlettaia, insieme ad artisti, amici e passanti, ha inscenato nella zona pedonale di corso Vittorio Emanuele.
Mani, mani che uscivano da un telone bianco, mani che si scambiavano strette, piccoli oggetti, doni, parole. Mani che dipingevano per esprimere il desiderio e la necessità di amare e fare qualcosa per la nostra città. Quella stessa città da cui, spesso, i nostri ragazzi si allontanano per non farvi ritorno, pensando: “a Foggia? giammai!”
Mi causa sempre tristezza ascoltare queste parole, non tanto per il fatto che i ragazzi operino scelte, per bisogno o desiderio, che li allontanano – il mondo è per fortuna tanto grande da ospitare migranti di ogni genere. Mi intristisce il disprezzo per il proprio luogo d’origine, per gli spazi e le relazioni frequentati, gli stessi che hanno permesso loro di crescere e di essere quel che sono, nel bene e nel male. I luoghi non sono separati dalle persone e le persone sono intessute dei luoghi che li hanno ospitati, è un artificio pensarli separati: lo spazio prende senso e bellezza dalle persone che lo abitano.
Lo spazio e le relazioni prendono colore, insieme
All’interno della performance di domenica, uno spazio era dedicato ai bambini: due grandi piantine della città da sottoporre al loro sguardo incuriosito. Da guardare per imparare a conoscere, per giocarci e intervenire.
Il laboratorio è stato pensato con Gerardo De Feo che si occupa di didattica dell’arte con i più piccoli. Lui ama sostenere che Foggia è una città d’arte e, studiando fuori, ha scoperto quanta ricchezza storica e relazionale possiede la nostra gente e il nostro territorio.
Insieme abbiamo esortato genitori e adulti accompagnatori a tracciare, su fogli da sovrapporre alle piantine il perimetro di un quartiere, di un giardino, di una zona significativa per sé, ma da passare ai figli e ai più piccoli in generale: una zona da salvare, da amare, oppure una zona sgradevole, degradata, da curare e da affidare, da immaginare differente, più a misura di ognuno. Per esempio a misura di bambino.
Sulle vie tracciate dagli adulti i bambini, tanti quelli che si sono alternati, hanno tracciato desideri, possibilità di utilizzo: fiori e alberi, cavalli nello spazio dell’ex-ippodromo, recinti nei giardini per i propri cani e gatti, piste ciclabili e, a dimostrazione che i bambini sanno essere anche molto realistici, la panchina per il nonno che usa il bastone e ha bisogno di fermarsi ogni tanto o per la mamma che “così mi può guardare mentre gioco e riposarsi un po’”, un palazzo per chi casa decente non ha; come la bambina, forse ucraina, che accompagnata dalla mamma, ha voluto disegnare un bel palazzo altissimo con vicino un piccolo albero; e poi hanno disegnato gente, tanta gente, la propria famiglia ma anche il gruppo di amici.
Nuove occasioni per esercitare la vita sotto il segno della creatività e dell’alleanza
La nostra non è certo una città a misura di bambino. I bambini sono al centro della vita di tutte le famiglie, li si riempie di cose, gli si organizza il tempo, le amicizie sono programmate e quindi quelle che gli adulti scelgono per loro perché più adatte o più comode. Gli spazi sono quelli già strutturati, per la danza, lo sport, il divertimento, chiusi.
Insomma percorsi fisici e relazionali già stabiliti. Senza sorprese e senza stupore.
Domenica i bambini erano felici di stare gomito a gomito con altri bambini sconosciuti, felici di stare sdraiati a terra – nello stupore mio e loro: le mamme non se ne lamentavano troppo-; nessun
problema a cedere un po’ di posto, a scambiarsi fogli e colori, a spiegare cosa occorreva fare.
Ad approfittare dell’antico gioco della campana che gli artisti Rosy Daniello e Piero Cimino avevano allestito poco più avanti e che adulti dalla memoria lunga spiegavano ai più piccoli.
Lo spazio delle relazioni
Della serietà dei bambini già so, grazie al mio mestiere di maestra, ma quella degli adulti mi ha stupito moltissimo.
Solo all’ultimo momento io e Gerardo avevamo deciso di far tracciare agli adulti i segni da passare ai più piccoli. È stata un’ottima scelta, si sono aperte delle belle discussioni, tutti coloro che si fermavano erano interessati ed incuriositi, hanno posto domande, “Perché siete qui? Che senso ha?” “Mi spieghi, cosa devo fare?” Tutti si sono messi seriamente a eseguire il compito che gli era stato assegnato: passare ai propri figli una piazza, una strada, un giardino, un quartiere da prendere in carico.
Quello che è venuto fuori in forma più o meno simbolica, più o meno visibile, è una sorta di spazio abitato dalle relazioni. Abbiamo avuto la partecipazione attiva di molti e appeso ad un cespuglio i disegni dei bambini; qualcuno ha procurato delle mollette e ad un cordicella abbiamo fissato altri disegni, nuovi punti di vista offerti allo sguardo dei passanti attenti.
Vivere è rompere un guscio dopo l’altro
Solo un signore anziano si è lamentato dell’occupazione del luogo pubblico, diceva di non poter passare, ha alzato la voce in nome del diritto a passare al centro della zona pedonale; carino un giovane uomo, papà di tre bimbi spalmati a terra a disegnare un mondo nuovo, che lo ha preso per il braccio e, guidandolo, gli ha fatto notare che bastava fare due passi in più, girare intorno ai bambini, per passare tranquillamente. Un bel gesto quello del papà di accompagnare l’altro quasi per mano per fargli notare percorsi che non riusciva a vedere. Deve essere un buon papà.
A volte è così difficile, scegliere percorsi diversi da quelli abitudinari. Occorre lo sguardo di un altro. Si è sempre in tempo per crescere.
Belle le discussioni tra padri, madri e bambini, ascoltate a sprazzi “Perché questa piazza? Che te ne importa? Non ci andiamo mai…” “Già, però ci giocavo da piccola; tua nonna, cioè mia madre, abitava lì” “Perché non mi ci hai mai portato?” “Hai ragione, non ho avuto tempo.” “Mi ci porti?” “Sì, ti ci porto domani.”
Così sono i luoghi della città, occorre amarli, tenervi dei ricordi, raccontarli e mettersi in ascolto, andare a far loro visita ogni tanto perché non intristiscano e muoiano. Guardarli da nuove prospettive: le cose viste dal basso, a volte, possono essere piuttosto interessanti.
A volte, come quando si ama, si vedono cose che sono invisibili agli occhi.
Donata Glori