15 Novembre 2008
IO DONNA

“Quando cresci, comprendi che certe cose sono impossibili. Se no, diventi un artista” Pipilotti Rist

di Assia Baudi di Selve


La chiamavano Pipilotti come la protagonista del romanzo di Astrid Lindgren, quella ragazzina indipendente e sognatrice con le trecce arancioni.
Elisabeth Charlotte Rist era lei: libera. Oggi ha 46 anni e, da quando con Ever Is Over All ha vinto al Biennale di Venezia del 1997, è una regina della video arte. Io donna l’ha incontrata per scoprire cos’è, se esiste, la perfezione, vist da un’artista che ama la scienza e crede “siamo Uno, anche senza Dio”.
L’occasione è la sua consacrazione al Moma, dove sta preparando quella che si annuncia come la più monumentale installazione realizzata per il tempio dell’arte newyorkese: Pour Your Body Out ( 7.354 Cubic Meters), un video inedito che sarà proiettato dal 19 novembre al 2 febbraio 2009 su schermi giganteschi, superficie totale otto metri per sessantuno. Un evento che rappresenta l’ultima tappa di un viaggio con destinazione l’infinito. Da sempre il mondo di immagini per Pipilotti sconfina, oltre i limiti dell’ occhio, su schermi che sembrano immensi quanto il cielo, da guardare sdraiati, come nella chiesa barocca di San Stae per la Biennale di Venezia nel 2005 , dove ha presentato Homo Sapiens Sapiens, un Giardino dell’Eden senza senso di colpa. Nel video Pickelporo entra nel respiro, tra i peli e i pori della pelle restituendole le sue imperfezioni. «Siamo strutture caotiche». Entra perfino nel suono, che sembra fatto di stelle, nell’ opera presentata per i trent’anni del Beaubourg di Parigi. E su schermi giganteschi e speculari, crea caleidoscopi, con immagini che si sdoppiano, si fondono e cambiano, perché nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma, come nel più bello dei suoi video Sip My Ocean, sensuale come il suo titolo.
Per la copertina di lo donna Pipilotti ha scelto un’uniforme: stoffa da tovaglie a scacchi rossi che ha fatto cucire come la divisa di un soldato del Kerala. Colleziona uniformi di ogni tipo e ogni parte del mondo. E si veste sempre con sotto e sopra che combaciano: «Per tenere la parte superiore del mio corpo attaccata a quella sotto». Sedute sulla moquette di casa sua, dopo un take
away asiatico, si chiacchiera oltre la mezzanotte. Se si dovesse descrivere chi è Pipilotti Rist attraverso uno solo dei suoi video, sarebbe Ever 1s Over All, ora nella collezione permanente del Moma: una donna che rompe i vetri delle macchine con un fiore. Nell’ arte come nella vita lei rompe le convenzioni, con una poetica che si ispira alla natura, dove anche la convenzione originaria, il tempo, viene rimessa in discussione: «Nelle cellule, la più piccola particella esistente può trovarsi allo stesso tempo, nello stesso identico momento, in due punti diversi della sua orbita». Vuole entrare dentro le cose, è per questo che ama la scienza. Vuole vedere sotto la pelle, «dove c’è il sangue che scorre». Dice che le capita di non guardarsi allo specchio per giorni. Non sa perché. Ma ascoltandola parlare, cosÌ presente in quello che dice, sembra di capire che le capiti perché vive cosÌ dentro alle cose da dimenticarsi di sé. Per guardarsi allo specchio è necessaria una distanza tra sé e il mondo, lei invece quella distanza l’azzera. Sarà che è completamente miope. Vede tutto da vicinissimo, niente da lontano. E quando racconta che tutto, colori, forme e suoni, sono «onde elettromagnetiche che hanno ciascuna la propria vibrazione e velocità», muovendo le mani piccole e delicate, sembra quasi che lei quelle onde invisibili le riesca a vedere. Nel 2010 sarà pronto il suo primo film per il cinema: Pepperminta. La storia di una bambina che si chiama come un altro personaggio di Astrid Lindgren, che custodisce un occhio della nonna in una mela d’argento, raccoglie il proprio sangue in un calice e ha il compito di libe rare il mondo dalle paure, trovando il colore perfetto. È la regista e la sceneggiatrice del film, e con l’esperienza di chi per sei anni, dal 1988, ha fatto parte del gruppo musicale Les Reines Prochaines, ha composto anche la musica, assieme ad Anders Guggisberg. Quando canta ha una voce alta e chiara, quando parla quasi sussurra.
Racconta che vive in una casa lontana dal centro di Zurigo, con un giardino quasi sempre ricoperto di neve. Una grande casa, dove vivono quattro famiglie di amici, con le porte sempre aperte. All’improvviso qualcuno spalanca la porta, qui a New York, entrano due specie di Elvis in tuta bianca. Pipilotti ride, si alza divertita: «Ecco il mio team». Lui la affianca nel montaggio, lei è la sua assistente. Va in camera da letto e ricompare con due vestiti: «Scegline uno, andiamo a una festa: è la notte di Halloween!». Prendo una tuta verde da operaio che ha comprato a Marugame, in Giappone. Mi presta anche un passamontagna. Lei infila un completo arancione, si copre la testa con un foulard di seta con simboli comunisti ma bellissimo di Fabric Frontline, un paio di occhiali da sole e siamo pronte. Partiamo all’ attacco dello storico Chelsea Hotel, dove sul terrazzo incontriamo uno dei curatori del Moma, Klaus Biesenbach, in mutande da femmina e giacca da calciatore americano. Pipilotti, anzi Pipi, parla del figlio di sette anni, Himalaya Yugi. Poi si distrae un attimo, guarda New York dall’ alto e commenta: “Bellissima”. Poi guarda meglio: “Sembra Chicago”. E scoppia a ridere. “Quando mostro a Yugi la sua piccola macchina giocattolo, lui alza la gamba e cerca di entrarci dentro. I bambini non conoscono le dimensioni e le distanze. Solo quando cresci impari che certe cose non sono possibili. Altrimenti, diventi un artista» .

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