A Londra, Dublino e Stoccolma, tre mostre ospitano le opere di Hilma af Klint, la pittrice e teosofa svedese che, esplorando incessantemente l’energia e i processi della vita, giunse all’astrattismo prima di Kupka, Mondrian, Malevic e Kandinski
Giannina Mura
Il mondo non era ancora pronto per i suoi dipinti, perciò la pittrice svedese Hilma af Klint (1862-1944) predispose nel suo testamento che venissero mostrati al pubblico solo vent’anni dopo la sua morte. Ne passeranno invece quarantadue. Nel 1986, a Los Angeles, in occasione della grande mostra The spiritual in art – Abstract painting 1890-1985, la sua “opera segreta” sorprende tutti, tanto più che, totalmente estranea alle avanguardie storiche, l’artista giunge all’astrattismo prima di Kupka, Mondrian, Malevic e Kandinski. I suoi dipinti vengono pure avvicinati all’espressionismo americano degli anni Sessanta e chi li contempla oggi – per esempio nelle tre mostre a lei dedicate in corso al Camden Arts Centre di Londra, all’Irish Museum of Modern Art di Dublino e al Moderna Museet di Stoccolma – li può facilmente associare a certe correnti della pittura contemporanea. Pioniera per caso? Non proprio. Nulla è fortuito nel suo rigoroso percorso artistico. Ben lontana dall’art pour l’art, prendendo le mosse da un eclettico universo esoterico, Hilma af Klint concepisce una visionaria strada tutta per sé verso una pittura che coniuga regole geometriche e ricerca metafisica, così da farsi medium di un ordine altro: “trasmettere i messaggi dal mondo spirituale all’umanità di luce”.
Del resto, per lei l’astrattismo non esclude definitivamente la figurazione, alla radice della sua pratica artistica sin da giovanissima. Decisa a guadagnarsi da vivere come ritrattista e paesaggista, segue infatti i rinomati corsi di Kerstin Cardon e, dopo l’istituto d’arte, si iscrive nel 1882 all’accademia di Belle Arti di Stoccolma, dove incontra Anna Cassel, l’amica di una vita. Diplomata nel 1887, ottiene uno studio nello stesso palazzo del Blanch’s Art Salon (importante centro dell’arte moderna svedese, dove espone anche Munch) e intraprende l’attività di pittrice figurativa con un certo successo. Lavora inoltre come disegnatrice all’Istituto di Veterinaria, collaborando anche a diversi periodici come illustratrice.
Intanto, aderisce alla teosofia di Helena P. Blavatsky e tiene sedute spiritiche regolari insieme ad Anna Cassel e ad altre tre amiche (si autoproclamano de Fem, le cinque), dando vita a una forma occulta di autocoscienza e di singolare sperimentazione artistica. Le donne si riuniscono ogni settimana per ricevere gli insegnamenti di diversi spiriti guida, i cui messaggi trasmessi da Hilma, la medium principale, vengono registrati a partire dal 1892, attraverso la scrittura e il disegno automatico che, se anticipano gli esperimenti surrealisti (cadavre exquis), prefigurano soprattutto l’astrattismo a venire della pittrice. Ogni seduta è documentata da più di centoventi album, oggi conservati dalla Fondazione Hilma af Klint di Stoccolma.
Proprio in una di queste sedute, nel 1904, l’artista si vede proporre il compito di eseguire “dipinti sul piano astrale” al fine di rappresentare l’invisibile e l’eterno per la creazione di un tempio futuro. Nonostante il difficile periodo iniziatico che le viene prospettato (“Diventerai cieca, dovrai negare te stessa per piegare il tuo orgoglio. Barcollerai quando la tua debolezza sarà messa alla prova. Diventerai una voce potente, ma prima sarai ridotta in polvere”), Hilma accetta: sa di essere scelta perché affine alle antiche vestali, e si impegna ad abbandonare la pittura figurativa per dedicare un anno di lavoro ai “dipinti per il Tempio”.
Dal novembre 1906 fino all’aprile 1908 si consacra, quindi, all’incarico trascendente: “Dipingevo direttamente sulla tela senza disegni preliminari, con grande forza. Non immaginavo l’esito finale, eppure lavoravo alacremente e sicura di me, senza modificare una sola pennellata”. Completa così centoundici dipinti. Verde, giallo e blu dominano la prima serie cui dà il nome di “WU”: W per materia, U per spirito, intimamente connessi nella sua concezione del mondo. Lavorando quattro ore al giorno, impiega sei giorni per ogni dipinto. Gli spiriti guida, afferma, le impongono di non mostrarli a nessuno e le danno sette mesi per ultimare la missione. Alla vigilia di Natale completa dieci grandi quadri (328×240 cm) che presentano, come la serie WU, forme di arabeschi disposti su un fondo di colore uniforme in tensione estetica, con o senza elementi testuali, a evocare l’essenza delle quattro età umane.
Nella primavera del 1908 realizza la serie WUS, o Sic transit gloria mundi, e incontra Rudolf Steiner. Il padre dell’antroposofia visita il suo studio a Stoccolma e, senza altri commenti, le predice che i suoi dipinti, troppo avanti nel tempo, saranno compresi solo cinquant’anni più tardi. Forse per questo Hilma decide di non mostrare la sua opera al pubblico e, per vivere, riprende la pittura rittrattista fino al 1912, quando gli spiriti guida si manifestano di nuovo, stavolta però come immagini interiori. Torna perciò a dipingere “per il Tempio” fino al 1915, sostenuta dalle amiche che registrano le sue esperienze durante l’esecuzione. In questo periodo produce la serie “SUW”, che rappresenta cigni in bianco e nero in rapporto speculare. Una simmetria emblematica della dualità terrena alla ricerca dell’unità, fonte di evoluzione e di armonia, filo rosso di tutta la sua opera, che esplora incessantemente l’energia e i processi della vita. Conclude con la serie “UW” (nel dipinto Duvan N.1 del gruppo 9, la spirale che attraversa la forma circolare sembra la doppia elica del Dna scoperta solo nel 1953) dove il tema dell’amore assume forma cosmica.
Più razionale che sentimentale, di questo intenso periodo l’artista nota: “Tutta la differenza sta nell’impegnarsi in un primo tempo, nella grazia e nella sofferenza, con poteri parzialmente sconosciuti per giungere con il loro aiuto alla conoscenza di sé, e poi, una volta ottenuto il livello di autoconoscenza necessario, intraprendere lo studio da sé. Adesso so di essere, in verità, un atomo nell’universo suscettibile di infinite possibilità di sviluppo. Possibilità che voglio gradualmente rivelare”.
Mirando con precisione matematica alla rappresentazione dell’invisibile, spesso con l’ausilio della “geometria divina” (triangoli, cerchi, quadrati), dipinto dopo dipinto Hilma af Klint elabora così un complesso sistema visivo in cui ogni opera, intitolata e numerata in ordine progressivo, costituisce un gruppo, anch’esso numerato e intitolato, a formare un’ulteriore serie. Benché, sin dal 1905, l’artista abbia progettato l’edificio per i suoi dipinti – una struttura a spirale che li avrebbe esposti al pubblico in ordine sequenziale verso il centro – lo studio a due piani costruito tra il 1916 e 1917 nell’isola di Munsö (dove trascorreva le estati con le amiche del gruppo de Fem sin dal 1912) presenta un’architettura normale, e solo rare persone potranno contemplarvi “l’opera segreta”. Ma la sua inclassificabile sperimentazione artistica non si ferma a questa grande “avventura della mente” e prosegue per tutta la vita senza rivendicare altra appartenenza che a se stessa.
Alla sua morte, lascia al nipote Erik af Klint più di mille dipinti e disegni, nonché centoventiquattro manoscritti in cui descrive la sua pratica artistica e spirituale, attività integranti della sua personale cosmologia basata sulla scienza moderna (la serie dell’atomo cui lavora nel 1917 è ispirata dalla teoria della relatività di Albert Einstein), la teosofia, l’antroposofia, il cristianesimo. Sebbene per lei le religioni altro non siano che molteplici itinerari verso l’unità: “Dio non è un essere ma una forza – dice – non una creatura ma l’eternità, non qualcosa che ha forma, bensì vita che assume forme infinite”.
Mettendo in opera un’originale mappa energetica d’introspezione dell’infinito, Hilma af Klint accede con sincretismo metafisico a parti remote di sé, e dell’archetipo collettivo, per restituirle al mondo con la sua arte. E, visto il moltiplicarsi delle mostre a lei dedicate attualmente, il mondo parrebbe finalmente pronto ad accoglierla. Che “l’umanità di luce” cui i suoi spiriti guida destinavano i messaggi, cento anni fa, sia proprio la nostra? Di certo, in quest’epoca di plumbei oscurantismi, i suoi dipinti illuminano dal vivo la nostra natura umana.