Recensione di “La fragilità dei padri. Il disordine simbolico paterno e il confronto con i figli adolescenti” 2004, Milano, Unicopli, di Marco Deriu
Anna Paini, antropologa
Marco Deriu nel rendere conto delle interviste condotte nell’arco di due anni a Carpi (Modena), con un gruppo di padri e di figli adolescenti (1) “ipotizza l’esistenza di un conflitto intergenerazionale nel maschile, un conflitto non diretto e non esplicito, che si presenta piuttosto nella forma, più sottile ma anche più profonda, di ampi e significativi blocchi comunicativi tra la generazione degli uomini adulti e quella dei giovani e degli adolescenti”. Il conflitto quindi assume forme diverse rispetto a quello che aveva segnato le generazioni precedenti, non passa attraverso gesti di rottura, di ribellione aperta quanto piuttosto attraverso il blocco della comunicazione. Emerge una rinuncia all’autorità da parte dei padri che vogliono affrancarsi dal modello maschile genitoriale dei propri padri e contemporaneamente un non riconoscimento di autorevolezza da parte dei figli nei loro confronti; emergono grosse “difficoltà a confrontarsi con l’aspetto conflittuale delle relazioni” da parte degli adulti e viene meno “la funzione di contenere, di limitare, di orientare, di dare misure, limiti, sponde”, generando una impasse nei rapporti. Nelle pagine conclusive Marco si chiede se una via d’uscita da questo vicolo cieco possa essere quella di proporre nuovi modelli e chiarisce che sente piuttosto la necessità di fornire riferimenti chiari.
Ho apprezzato La fragilità dei padri fondamentalmente per due ragioni:
Innanzitutto per il taglio metodologico. Marco Deriu esplicita di voler evitare di “incasellare le diversità dei padri in una serie di tipologie stereotipate”, ossia di non voler confinare i percorsi biografici in tipologie predefinite, che risulterebbero inadeguate alla lettura di un fenomeno molto articolato.
Tengo a evidenziare questo aspetto perché spesso mi sono confrontata con saggi su temi a me più vicini, quali per esempio l’immigrazione, dove si opta per riproporre “nuove” tipologie che possono sembrare più ordinatrici, ma che appiattiscono la complessità della realtà presa in esame.
L’approccio di Marco è senz’altro più produttivo in quanto largo spazio viene dato ai racconti dei propri interlocutori (padri e figli intervistati) e in primo piano vi è la loro esperienza e la loro relazione (“far emergere la complessità dei punti di vista degli uni e degli altri, mostrare anche la compresenza di elementi contraddittori e di tensioni differenti che possono attraversare la stessa persona”) senza che questo nasconda l’intervento interpretativo dell’autore.
La seconda ragione riguarda l’aiuto che queste interpretazioni mi hanno dato per affrontare un altro contesto intergenerazionale con cui mi sono confrontata, quello di ragazze adolescenti, nello specifico di giovani immigrate. Ho letto La fragilità dei padri mentre ero impegnata in una scuola superiore di Reggio Emilia in una prima ricerca su studentesse straniere, soprattutto di provenienza maghrebina, alcune a Reggio da molto tempo (qualcuna nata qui), altre invece appena arrivate; una ricerca che avrei presentato nell’ambito di un ciclo di incontri, proposto nel corso del 2004 dalla provincia di Reggio Emilia, dal titolo Arrivare non basta. Complessità e fatiche dell’immigrazione familiare. Alcuni passaggi del libro di Marco mi hanno offerto chiavi di lettura per restituire il materiale raccolto svincolato da schemi, cui troppo spesso affidiamo il senso della nostra interpretazione, che contrappongono le scelte individuali a quelle famigliari.
Dalle testimonianze delle più grandi emerge la capacità di muoversi tra più mondi culturali, di rivendicare un’identità complessa, di essere delle mediatrici tra il contesto scolastico ed extra-famigliare in generale e quello famigliare. Posizione ben diversa da quella di chi ritiene che queste ragazze posseggano due insiemi di regole cui fare ricorso a seconda dei contesti. I loro racconti parlano invece un linguaggio di permeabilià che apre uno spazio di negoziazione. Alcune sono riuscite a mediare tra le richieste famigliari che imponevano loro un fidanzamento e matrimonio concordato e la voglia di continuare a studiare, ben consapevoli di non voler interrompere i rapporti di scambio con la propria famiglia, cui assegnano un alto valore.
Questi racconti presentano situazioni che potrebbero sembrare contraddittorie, ma iniziare a leggerle come attraversate da conflitti che non scelgono gesti di rottura o di sfida ma altre strade, che non sono nemmeno quelle del blocco comunicativo, è stato produttivo. Le riflessioni proposte da Marco Deriu sono quindi state utili per interrogarmi sui rischi insiti nel leggere questi gesti, questi comportamenti attraverso schemi che non funzionano più nemmeno per gli adolescenti “nativi”.
Forse bisognerebbe iniziare a riflettere seriamente sui modelli genitoriali a cui si rifanno le adolescenti straniere, senza liquidare o etichettare certi comportamenti come mancanza di autonomia individuale. Si potrebbe piuttosto considerarli come risposte di ragazze che riconoscono e danno valore all’autorità rappresentata dall’esperienza nella differenza generazionale, e che valorizzano la dimensione verticale (assente invece nel rapporto padri-figli delle testimonianze proposte da Marco), e che nello stesso tempo sono consapevoli della differenza tra le loro vite e quelle delle loro madri e si pongono come mediatrici tra contesti culturali diversi, ma senza optare per gesti di sfida emancipatoria.
In una situazione di crisi dei rapporti intergenerazionali forse abbiamo qualcosa da imparare dall’esperienza di giovani donne che negoziano con la propria famiglia svincolate dalla contrapposizione indipendenza/dipendenza.
A fine lettura mi sono resa conto che la riflessione proposta in La fragilità dei padri non coincideva con la mia esperienza di madre di una figlia, esperienza che ha fatto proprio un altro percorso di relazione, che ha scommesso sul tenere insieme la valorizzazione dell’autorità femminile con un rapporto dialogante.
Per questi motivi ritengo che il libro di Marco Deriu offra spunti di riflessione e produca interrogativi vantaggiosi anche per chi non può essere compresa in una genealogia maschile.
(1) le interviste fanno parte di una ricerca qualitativa svolta a Carpi (Mo) per conto del Centro per le Famiglie del Comune e del Free entry Punto d’ascolto per adolescenti dell’Ausl di Modena – Distretto di Carpi.