Era nata in una famiglia di scrittori e di professori a Dobrecen, una città universitaria: era sempre stata una perfezionista
Vanna Vannucci
Il destino, aveva detto. Scrivere era stato per lei un destino. La letteratura il suo pane quotidiano, leggere scrivere e insegnare le tre attività della sua vita. Dopotutto era nata in una famiglia di scrittori e di professori, in una città universitaria, Dobrecen, famosa per aver dato i natali ad autori famosi. E il destino si è compiuto anche nell’ ora della morte. Magda Szabo si è spenta a novant’ anni con un libro in mano, seduta sulla poltrona sulla quale passava i pomeriggi, nella casa di Budapest, a leggere e pensare. «Alla scrivania mi siedo solo quando ho già tutta la storia in testa», mi disse. «Solo che di tanto in tanto succede che il protagonista in mezzo al racconto cambi idea e voglia qualcos’ altro». Così anche il piano nella sua testa doveva cambiare. Una perfezionista era sempre stata, come le protagoniste dei suoi romanzi: Iza (ne La Ballata di Iza) una donna bella intelligente e generosa il cui tratto dominante è il rigore. Oppure Emerenc (ne La Porta), la donna di servizio alta e ossuta con una capacità di lavoro sovrumana e una dedizione totale agli altri ma allo stesso tempo un acuto senso d’ indipendenza. «L’ eccesso di rigore tradisce in fondo una freddezza del cuore di cui solo tardi ci rendiamo conto». Dobrecen era la città che l’ aveva plasmata, una città dell’ Ungheria orientale diversa dalle altre città ungheresi, una sorta di Vaticano del calvinismo come e più che Ginevra. Lì era nata nel 1917, ancora in un’ Ungheria feudale, poi spezzettata dal Trattato del Trianon, a cui erano seguiti il fascismo e quarant’ anni di comunismo. Infine l’ ingresso nell’ Unione europea. «Potersi esprimere in libertà è una grande conquista, anche se è costata all’ Ungheria uno sconvolgimento economico che ha reso difficile la vita a tanti». A Dobrecen, a soli 15 anni, aveva scoperto il suo talento letterario mentre ancora studiava «in un rigoroso collegio calvinista per ragazze». Aveva studiato tedesco e inglese, poi all’ università aveva preso una laurea in latino e ungherese. Di tutti gli scrittori ungheresi la sua riconoscenza andava soprattutto a Kazynsky Ferenc: «dobbiamo a lui se la nostra lingua è risuscitata dalla morte». I sommovimenti storici avevano fatto sì che in Ungheria non esistesse una lingua letteraria, «capace di dar voce alle sofferenze della nazione». «Gli intellettuali parlavano latino, l’ aristocrazia inglese, i borghesi tedesco, le dame dell’ alta società francese o tedesco. Solo i contadini parlavano ancora ungherese, la lingua dei magiari che nel IX secolo si erano installati tra il Don, il Danubio e il mar Nero». Perché scrive? le chiesi. Non era, ammetto una domanda originale. Lei rispose con un’ altra domanda: perché cantano gli uccelli?