Le straniere titolari di imprese rappresentano ormai in Italia il 16% del totale.
Sono presenti soprattutto nel terziario.
Claudia Galimberti
Abitano le nostre case, le vediamo al mercato e in metropolitana, affidiamo loro i nostri figli e i nostri genitori, ma anche comperiamo da loro i nostri vestiti o fiori, mangiamo nei loro ristoranti, le vediamo accompagnare i turisti come guide oppure sulle strade, fonte di pericolose attrazioni: Chi sono le donne immigrate, come si collocano nel nostro immaginario, donne a rischio o coraggiose viaggiatrici? Probabilmente né l’uno né l’altro, sono donne che lavorano e che portano il loro contributo direttamente o indirettamente all’economia del Paese che le ospita.
Quello del lavoro delle donne immigrate è un fenomeno che non è stato studiato adeguatamente ed è ancora sottovalutato. Il recente rapporto Caritas e il libro di Francesca Decimo, Quando emigrano le donne, hanno messo in evidenza dei dati importanti che ci fanno riflettere, non tanto per il numero di donne imprenditrici, quanto per il vissuto che sottende a queste cifre.
Le tappe dell’imprenditoria femminile sono obbligate da licenze, da adempimenti burocratici, da moduli da riempire e file agli sportelli: questo è comune a tutti. Ma quale diverso valore ha un’imprenditoria nata dal lavoro di donne immigrate? Contiene le speranze, la voglia di riscatto, l’impegno di donne che lontane dalla terra di origine lottano per assicurare un benessere alla loro famiglia.
Questo è solo l’inizio: lo studio dei flussi migratori mette in evidenza un’altissima componente femminile nella mobilità geografica e la ragione economica di questi movimenti è chiara. La spinta che porta tante donne ad emigrare è la stessa che incoraggia a trasferire imprese e uffici nella periferia del mondo, la disponibilità di manodopera a basso costo. In un’economia che sempre più tende al terziario saono innumerevoli i lavori da affidare alle donne specialmente quando cresce il tasso di occupazione femminile nei Paesi a economia avanzata.
In Italia sono più degli uomini: tra queste donne ci sono le nuove imprenditrici, generatrici di risorse multiple, affettive, sociali e monetarie. Nel loro ruolo di datrici di lavoro, portano l’esperienza maturata come lavoratrici: Hanno capito i segreti degli italiani, li hanno osservati nelle loro case, in quell’intimità domestica che necessariamente scopre il dietro le quinte; hanno cominciato quasi tutte così, dedicandosi ai servizi familiari.
Poi c’è stato il gran salto, ottenuto con l’intraprendenza propria delle donne, la cocciutaggine, lo spirito di iniziativa. La pratica del microcredito aiuta, ma spesso c’è il risparmio personale e l’appoggio di altri connazionali alla base delle nuove imprese ed è così che la foemia oeconomica anche tra le immigrate comincia il suo cammino verso la produzione.
Nella sola Roma 3.698 donne straniere sono titolari di imprese, ma in tutta italia sono 15.065. Un buon numero che rappresenta il 16% del totale degli imprenditori stranieri, 94.633 al 30 giugno 2005, secondo il rapporto Caritas.
Le donne coinvolte nell’avventura imprenditoriale sono più numerose se consideriamo la partecipazione all’impresa in qualità di socio: Ci troviamo di fronte a 11.688 cariche di socio affidate a donne, il 37% del totale. Le competenze professionali si dirigono verso il terziario, il commercio, i servizi alla persona, il turismo, la ristorazione. Un apporto all’economia del Paese poco conosciuto, eppure il lavoro delle donne immigrate aumenta l’occupazione creando nuovi posti. Si calcola che per ogni impresa al femminile altre due persone trovano lavoro stimando così che le imprenditrici straniere concorrono con circa 30nmila nuove assunzioni.
Le rimesse che trasferiscono, circa 3 miliardi di euro nel 2004, aiutano l’economia dei Paesi di origine, ne potenziano lo sviluppo e proteggono le famiglie dalla povertà incombente. Al tempo stesso la quota che investono in Italia è alta, più del sessanta per cento dei loro guadagni, e contribuiscono ad oliare il meccanismo della nostra economia.
A queste donne coraggiose è affidato il futuro multiculturale che ci aspetta: come in un viaggio che non prevede distanze geografiche, ma solo sociali e culturali, vediamo cambiare gli spazi ai quali siamo abituati e che diventano familiari per qualcun altro.
È la nostra mappa mentale a uscirne confusa eppure sarà attraverso la foemina oeconomica migrante e il suo atteggiamento educativo verso i figli, la sua capacità di contemperare il vissuto precedente con l’attuale, che si ristrutturerà la futura composizione sociale della nostra popolazione.
Lettura segnalata Francesca Decimo, Quando emigrano le donne, il Mulino, Bologna 2005, Pag: 248 Euro 18,50