Una multinazionale del calibro della Nike, spinta dalle pressioni del movimento no global e dei media di tutto il mondo, ha proceduto a verificare gli standard di trattamento dei lavoratori praticati dai suoi fornitori, eliminando il 43% degli stessi e rendendo pubblica la lista di quelli rimasti.
Indipendentemente dalle motivazioni che hanno determinato questo passo, ci sembra importante – nell’auspicio di un contagio benefico – segnalare le iniziative concrete di “Responsabilità Sociale (delle Imprese)” piuttosto che i frequenti fumosi proclami intorno a questo tema. MB
Daniela Roveda
LOS ANGELES – La Nike si è cosparsa il capo di cenere. In un raro mea culpa per un’azienda occidentale, il colosso accusato di avere chiuso un occhio sulle condizioni di lavoro negli stabilimenti del Terzo Mondo che fabbricano le scarpe indossate da Michael Jordan e Kobe Bryant ha preso le misure moralmente necessarie. e ieri ha pubblicato una lista di 700 fornitori, indirizzo compreso, affinché chiunque possa andare a controllare lo stato delle fabbriche.
La presa di coscienza della Nike potrebbe avere oltretutto ripercussioni positive di ampio respiro sulle condizioni di lavoro di interi Paesi in via di sviluppo. L’iniziativa infatti potrebbe forzare molte altre società americane ed europee a identificare i propri fornitori, costringendoli ad adeguare le condizioni di lavoro (igieniche, psicologiche, ambientali e legali) agli standard occidentali. Finora l’identità dei fornitori era stata mantenuta segreta da società intenzionate a salvaguardare i segreti aziendali.
L’iniziativa della Nike. presa in modo del tutto volontario, è inoltre una vittoria per gli attivisti che da molti anni denunciano la prassi occidentale di rifornirsi da fabbriche che. secondo le accuse, sfruttano i lavoratori. La Nike era divenuta addirittura il simbolo dell’omertà occidentale dopo aver ignorato negli anni 90 le pressanti critiche sullo sfruttamento del lavoro minorile e sulle condizioni inaccettabili di molte fabbriche localizzate in Cina, Thailandia, Corea, Vietnam ed altri Paesi asiatici.
Nel rapporto che include la lista dei fornitori il presidente della Nike, Philip Knight ha addirittura ammesso apertamente la propria responsabilità: “La tiepida risposta iniziale della Nike alle critiche è stato un errore di cui sono interamente responsabile” ha scritto Knight. Per riparare il danno all’immagine, Nike ha investito ingenti risorse per valutare individualmente ciascuna delle 700 e più fabbriche che impiegano complessivamente 650mila Per garantire l’obbiettività del rapporto, la società ha ingaggiato l’organizzazione indipendente Fair Labor Association per aiutarla a individuare le irregolarità e gli abusi e per correggerli. Nike ha anche cancellato i contratti di fornitura agli stabilimenti che non si sono adeguati alle sue richieste, il 43% del totale. E chi non ci crede può andare a controllare di persona.