Cinzia Sasso
L’annuncio è il tic-tic di un paio di scarpette col tacco, qui, dove le strade sono sempre coperte di neve e dove oggi il termometro, mite, a mezzogiorno segna meno sei. Il passo è leggero ma non perché Sari Baldauf, cinquant’ anni il prossimo dieci di agosto, da un paio di settimane è una donna libera: era leggero anche prima, quando era la signora della Nokia, il colosso europeo delle telecomunicazioni, membro del board di un’ azienda da 55mila dipendenti, il vice presidente esecutivo e general manager delle reti, le infrastrutture sulle quali corrono da un capo all’ altro del mondo le informazioni. Ora, la signora che il Financial Times ha eletto come la donna più influente del business europeo e che era orgogliosa di esserlo, quella che alcuni nella comunità degli affari si aspettavano di vedere prendere il posto di Jorma Ollila, il Ceo con contratto in scadenza, non è più nessuno. è tornata ad essere solo quello cui tiene davvero: Sari, una persona, non più un ruolo; un nome semplice da rintracciare alla B sull’ elenco del telefono, non l’ unico nome femminile nel consiglio di amministrazione dell’ azienda; una che passa il tempo a leggere, andare in palestra, sciare con i nipoti, non l’ infaticabile business woman che salta su e giù dagli aerei a firmare contratti da una parte all’ altra di questo inquieto mondo. Stringe la mano con il massimo calore possibile per un finlandese, sorride solo con gli occhi, occhi azzurrissimi e un poco taglienti; sfila la pelliccia di visone a cappa, con il cappuccio, sistema la sciarpa di un rosso vermiglio proprio come il rossetto e si scusa: «Ho una fame terribile, devo chiedere un sandwich». Ha capelli neri cortissimi, è piccolina minuta e piuttosto elegante per una tarda mattina: pantaloni e giacca nera, scarpe, appunto, col tacco. Questo non è più il suo posto di lavoro; non ama, ma capisce, la curiosità sulla sua scelta e dunque eccola di nuovo, per una breve parentesi, in quella che per vent’ anni è stata la sua sala riunioni – divani bianchi, tavolo di cristallo, un tappeto di piccole orchidee bianche, dalle vetrate il golfo di Finlandia ghiacciato con i traghetti che sembrano di cartone, sospesi – disposta a rispondere “alla” domanda: perché mai una persona nel pieno della carriera, destinata a mete ancora più alte, potente, uno stipendio da oltre 900mila euro l’ anno, influente, in buona salute, giovane ancora, amata dai suoi azionisti, decide di lasciare tutto? Forse perché, dopo vent’ anni di lavoro, è sopraffatta dalla stanchezza? Sari, stavolta, sorride davvero: «O no, non sono affatto stanca. Ho dormito abbastanza in questi dieci giorni». Poi torna seria: «Quando fai qualcosa di molto interessante, che ti prende tanto, è davvero difficile capire quando fermarsi. Quando ho cominciato, ventuno anni fa, a lavorare in Nokia, pensavo di restarci tre anni e poi di mettermi a fare ricerca. Invece ho scoperto che era molto più bello fare le cose nella pratica che studiarle nella teoria. Ma essere in cima e avere il potere non è mai stato il mio obiettivo: mi ha sempre mosso il gusto di far funzionare le cose. E così mi sono ritrovata in un meccanismo che andava veloce, sempre più veloce. Lavoravo dalle dodici alle quattordici ore al giorno, e quando viaggi molto le ore sono molte di più: finisci le riunioni, la cena d’ affari, vai in albergo e ti colleghi col tuo pc per leggere la posta che nel frattempo hai ricevuto in Finlandia. Quando sei in un ruolo globale, senza confini, quando oggi sei in Cina e domani a Parigi, stai in servizio ventiquattro ore al giorno per sette giorni su sette. Non ho rimpianti, è stato entusiasmante. Ma arriva un momento in cui invece vuoi molto più tempo per i tuoi interessi personali, per te. Io amo le cose semplici – andare a funghi nei boschi per esempio – e nell’ utilizzo del tempo ci sono dei limiti». Hanno scritto che Sari si darà anima e corpo all’ International Youth Foundation, che si occupa del futuro dei giovani, di preparare, per i ragazzi, un futuro. Ma è vero solo in parte: già da cinque anni è nel direttivo dell’ associazione e Nokia con loro ha lanciato un progetto per consentire alle comunità più periferiche di connettersi con il resto del mondo. Non è come la Irene del Cuore Sacro di Ozpetek, non ha lasciato perché ha scoperto il volontariato. I bisogni degli altri, Sari, li conosceva da tempo. In uno dei suoi ultimi discorsi da “lady Nokia”, imbarazzata per essere chiamata a parlare come super donna, si è quasi scusata della sua condizione di privilegio: «La nostra educazione, il diritto che ci è riconosciuto di occuparci di noi stessi, la possibilità di avere un lavoro, ci rendono molto diversi da altre persone che pure sono come noi; rendono diversa me da altre donne come base di partenza e dunque, è ovvio, anche come meta di arrivo. Metà della popolazione mondiale vive con meno di due dollari al giorno; metà della popolazione ha meno di 25 anni e l’ 85 per cento dei giovani vive in un Paese povero; il 40 per cento dei disoccupati sono ragazzi». A loro Sari Baldauf ha pensato anche nei suoi anni ai vertici. Dunque: «Adesso, per sei mesi, non farò nulla. Ho deciso di prendermi un periodo di stacco, e poi di vedere. Non vorrei ritrovarmi di nuovo con l’ agenda piena dalla mattina alla sera, e questo è un pericolo, perché sono una persona che tende a farsi tirare dentro alle cose; non vorrei sentirmi ancora rimproverare da mia madre, che si lamenta perché sono sempre in volo». La decisione di oggi, dice, era già presa da tempo «bisogna fare delle pianificazioni, perché sennò la vita fa i suoi piani che si antepongono ai tuoi e ti tiene dentro». Tre anni fa lo aveva comunicato al suo presidente, e dieci anni fa aveva fatto un primo passo, «una mossa legata logicamente a quello che ho deciso adesso»: sei mesi di aspettativa per andare sugli sci e per studiare la storia dell’ Europa e la cultura dell’ Asia. «Davvero, non è stanchezza. Io voglio lavorare ancora e non sarei capace di non farlo. Ma ci saranno altri modi. Ho sempre pensato che non voglio perdere la mia identità, che non voglio confondere la mia persona con il ruolo che esercito. Io voglio essere me stessa. Nokia è un ottimo posto dove lavorare, c’ è molto rispetto, ma io dovevo ritrovarmi». Continua ad alzarsi tra le sei e del sette del mattino perché «è bello avere una lunga giornata davanti»; gioca a tennis, va in montagna, nella sua bellissima villa sulla costa meridionale della Finlandia; verrà presto in Italia «a Siena, la Toscana è così dolce», a studiare una delle poche lingue che non conosce, l’ italiano. E ora, finito il sandwich di pane nero, ha un po’ fretta: deve andare in palestra. L’ americana Gail Sheehy direbbe che, entrata «nella seconda età adulta», quella della maturità piena che però oggi è ancora giovinezza, ha raggiunto «la padronanza»: il momento in cui una persona prende in mano le redini della propria vita, libera finalmente dai condizionamenti. «Per una donna – dice Sari – è più semplice scegliere se lavorare o stare a casa. Gli uomini sono meno liberi, devono subire una pressione sociale più forte. Se un uomo avesse preso la mia decisione, se ne parlerebbe di più, e forse non avrebbe avuto la mia stessa libertà di farlo». Ma è l’ unica differenza di genere che concede: «Quando lavori sei te stesso. Non credo che esista un modo femminile o uno maschile di esercitare il potere. è uno stereotipo, un’ opinione datata, vecchia, superata: io non mi sono mai sentita di dover essere come un uomo, né ho mai percepito che questo fosse ciò che gli altri si aspettavano da me. Le differenze sono solo culturali, e personali. Forse per le donne è solo più facile essere aperte alle emozioni, attente ai bisogni degli altri, capaci di ascoltare. Forse hanno soprattutto dei vantaggi». Differenze sfumate, certo, in un Paese nordico: in Finlandia le donne hanno avuto il diritto di voto nel 1906, quarant’ anni prima che in Italia. Il presidente della Repubblica è una donna e così la metà dei ministri al governo; al Parlamento le donne deputato sono 75 e 125 gli uomini; se in Italia le laureate sono il 10 per cento, in Finlandia sono il 36. Sari Baldauf non ama parlare di se stessa. «La mia è una famiglia ordinaria, non c’ è niente da raccontare». è nata in un paesino al confine con la Russia ma a tre anni si è trasferita sulla costa meridionale, a Kotka. Suo padre era un uomo d’ affari, lei la maggiore di quattro fratelli; voleva diventare un medico, poi, però, influenzata da quel che aveva sempre respirato in famiglia, si è iscritta a economia. La laurea, il matrimonio, il primo lavoro come marketing manager ad Abu Dhabi, dove aveva seguito il marito. Più tardi un dottorato onorario alla Helsinki University of Tecnology. Nel 1983 l’ incontro con Nokia. E da allora un successo sempre crescente. Ma anche un distacco crescente: «Il successo non è qualcosa di garantito, che raggiungi una volta per tutte. Lo devi guadagnare giorno per giorno. E se ti lasci trasportare puoi finire nell’ arroganza o nell’ autocompiacimento: non ascolti più, o diventi pigro. E comunque il successo non è mai di una persona, è di un gruppo. Non esiste l’ uomo di successo, il mago del business; esiste un buon team, allenato a rendere al massimo, ognuno con il proprio potenziale». Non per forza “cosa buona”: «Il successo è pericoloso per i singoli, ma anche per i Paesi, le società. E bisogna stare attenti perché è sempre relativo». E il denaro? «C’ è chi ne ha molto e pensa di non averne mai abbastanza. I soldi sono un privilegio perché ti danno la libertà di scelta: se non devi preoccuparti delle cose di tutti i giorni, puoi davvero pensare a cosa è meglio per te». E così a 49 anni, dopo aver passato in azienda gli anni d’ oro dei trionfi e delle stock option, lady Nokia ha deciso di approfittare del suo vero, concreto privilegio. Ha scritto una lettera, «Caro presidente, vi lascio», e si è ripresa la vita. Come dice un vecchio proverbio cinese: «Anche il viaggio più lungo inizia con il primo passo».