Vita Cosentino
Guardai indietro, dicono, per curiosità,
ma potevo avere, curiosità a parte, altri motivi.
da La moglie di Lot di Wislawa Szymborska
Una coincidenza: avevamo appena deciso il titolo di questo numero, quando è uscito il mensile di fumetti Linus (aprile). In copertina c’è Lucy ben consapevole che il mondo è minacciato e può saltare da un momento all’altro, mentre lo “stupido cane” Snoopy pensa solo a ballare. Come noi?
Si balla tiene dentro molti significati. Ci ricorda che ogni tanto la Terra trema e fa ballare tutto quello che è posato su di essa, centrali nucleari comprese. Si usa dire anche da chi naviga sul mare in tempesta, su e giù, come capita oggi al pensiero sballottato da un susseguirsi di avvenimenti che gli fanno cambiare direzione continuamente. Senza trascurare il significato alla lettera: ballare rimanda alla bellezza del vivere e a un’arte che fa improvvisare nuovi passi e cambiare l’andamento delle cose.
Guardando indietro, Primum vivere (VD 94) è il titolo di un numero recente da riguardare per intero, a partire dalle sue immagini, le opere dell’artista Bill Viola che mette a tema la priorità della vita e l’acqua come suo elemento indispensabile. Nel numero si parla sì di acqua come bene comune, ma anche dell’ammalarsi e del guarire, del cibo e dei brevetti, del lavoro e del suo senso, delle dipendenze da droga e di tanto altro. Luisa Muraro, in Lo so perché lo sono, si riferisce al Manifesto Immagina che il lavoro che con quel motto ci chiama a sottrarre alle costruzioni dell’economia e dei saperi specializzati la competenza primaria che è nostra in quanto esseri viventi, donne e uomini. Nell’apertura Ina Praetorius, di fronte allo smarrimento che afferra molte persone in questa epoca di cambiamento, propone qualcosa che provvisoriamente chiama Pensare in modo postpatriarcale. Questo modo di pensare comincia quando lui o lei smette di sentirsi vittima del sistema contro cui si scaglia. Secondo l’autrice in questa epoca stanno meglio le donne e gli uomini che ammettono dentro di sé che qualcosa è irrimediabilmente perduto, ma che capiscono che la fine del mondo patriarcale non è la fine del mondo. A queste riflessioni è bene associare quelle di un altro numero da riguardare per intero: La fine del patriarcato (VD 23). Certo allora lo sguardo era più calmo mentre oggi è più inquieto ma l’essenziale del cambio di civiltà che stiamo vivendo è già tutto lì, compreso qualche salto di gioia.
Invito poi a rileggere La responsabilità di essere sulla Terra (VD 80) di Antonella Nappi. Nel suo contributo fa presente che è stato il femminismo a scoprire l’agire in prima persona come immediatamente politico. Sostiene, però, che le logiche del dominio si rinnovano e anche le donne vi si adeguano quando privilegiano soprattutto il benessere tecnologico: recedere nel consumo di energia, ad esempio, può divenire più odioso di qualsiasi tipo di dominazione nel mondo. Oggi i rischi legati al mutamento del clima pittosto che ai conflitti politici e sociali per la competizione delle sempre più scarse risorse richiedono la nostra attenzione. Propone una nuova autocoscienza sulle relazioni che abbiamo con la tecnologia e gli oggetti, con le abitudini di vita, cominciando a sentire l’autorità della natura.
Questo nuovo numero è anche caratterizzato da una forte presenza di uomini, sia nella scrittura dei testi, che nelle tematiche che li riguardano. Nel sottotesto quasi una domanda a esserci anche loro, con le loro parole e le loro questioni. Tra queste spicca quella della paternità, in quanto la fine del patriarcato tocca livelli elementari della civiltà umana.
Segnalo al riguardo un articolo di Riccardo Fanciullacci Qual è il posto del padre? (VD 90) che solleva il problema attraverso l’analisi di alcuni film. Ottimo metodo, che Via Dogana ha fatto suo da tempo. Inoltre, molte di noi sicuramente ricordano Il problema della paternità di Giuditta Lo Russo (VD 81), ricavato dal suo libro Uomini e padri. L’oscura questione maschile (1995). Andando molto indietro, trovo L’elogio di S. Giuseppe (VD 24) di Rosetta Stella, che sente il fascino esercitato da questa figura di un padre non biologico, ma pur sempre padre.
Chiudo con l’annuncio di una nuova rubrica curata da Francesca Graziani: LeggeròLeggeròLeggeròLeggeròLeggerò. Clarice Lispector lo dice cinque volte in una lettera da Napoli a un amico. E noi la riproponiamo.