Eredibibliotecadonne. RICOMPORRE IPAZIA. A cura di Silvia Aonzo, Betti Briano, Vilma Filisetti e Gabriella Freccero. Ed. Tribaleglobale, Savona 2010.
LE AUTORE
Nel nome ‘Eredibibliotecadonne’ si riconoscono donne di diverse generazioni che condividono l’eredità della Biblioteca delle Donne, nata per iniziativa di alcune protagoniste del femminismo savonese degli anni ’70 e grazie all’opera di stimolo e guida di Mariri Martinengo della Libreria delle Donne di Milano; in attività solo fin verso la fine degli anni ’90, rinasce dopo oltre dieci anni con il contributo determinante di alcune insegnanti e della Dirigente del Liceo Scientifico ‘O. Grassi’ nell’ambito della biblioteca della scuola, aperta anche al pubblico.
La resurrezione della Biblioteca delle Donne, celebrata l’8 Marzo del 2010, ha contribuito a stimolare interesse nei confronti della ricca e variegata attività culturale delle donne nella città di Savona e anche relazioni politiche volte alla produzione e alla circolazione di simbolico femminile.
Le quattro autore del libro sono, infatti, unite dal desiderio di portare avanti quell’eredità, dando occasioni di confronto ed espressione al punto di vista delle donne nel dibattito culturale e politico e soprattutto all’esperienza e all’opera femminile nella vita della città. Esse hanno partecipato all’opera in vario modo, a seconda delle competenze ma nella massima condivisione, superando insieme la resistenza a scrivere in virtù della consapevolezza che c’era qualcosa che andava detto.
COME E PERCHE’ E’ NATA L’OPERA
Una calda sera di Giugno 2010, sulla terrazza del Museo di Arte Primaria, con vista sul porto e sulla zona archeologica di Savona, Betti, Gabriella e Vilma, dietro sollecitazione di Giuliano, direttore del Museo, tengono una conversazione su Ipazia di Alessandria, traendo spunto da alcuni episodi del film ‘Agorà’ di A. Amenabar, comparso pochi mesi prima nelle sale italiane. Silvia è invece confusa tra il pubblico, per registrarne umori e considerazioni.
Il pubblico, insolitamente attento ed interessato, è in prevalenza di uomini e pressoché soltanto maschili sono le voci dell’animato dibattito che segue le relazioni; in esso, però, vengono sollevate questioni e affrontati temi varii ed interessanti ma assolutamente ‘altri’ rispetto a quelli proposti dalle relatrici, che vertevano principalmente intorno all’autorità e alla libertà di Ipazia.
Nonostante il sollievo per la prova conclusa e i vivissimi complimenti ricevuti, le relatrici non avvertono la pace della ‘missione compiuta’; aleggia invece la sensazione che il messaggio trasmesso, pur non respinto espressamene, non sia comunque arrivato a destinazione.
Col resoconto del dibattito redatto a tambur battente da Silvia il disagio prende forma e senso; ri-leggere i toni e persino gli umori di quel pubblico, ri-vedere i silenzi e gli sguardi porterà con sorpresa a riconoscere l’esperienza vissuta come una scena ascrivibile alla rappresentazione politica della problematicità del rapporto tra i sessi.
A quel punto a maggior ragione non è più possibile accontentarsi delle manifestazioni di apprezzamento ricevute dalle poche donne presenti, e tantomeno evitare di interrogarsi sullo scacco avvertito a causa del mancato intendimento, se non addirittura della rimozione, delle loro parole da parte del pubblico maschile.
Parte così un doppio percorso breve ma assai intenso che porterà a mettere in relazione le differenti biografie politiche e disvelare nel contempo le connessioni tra il progetto ‘culturale’ della biblioteca, come anche originariamente del lavoro su Ipazia, ed il comune desiderio di politica registrato in seno al gruppo.
Proprio in rapporto alla filosofa alessandrina emergono le differenti storie personali di ciascuna: chi l’aveva incontrata negli anni ’80, nel periodo in cui si guardava al passato alla ricerca di madri simboliche, chi l’aveva conosciuta qualche anno dopo grazie al prezioso libro di Gemma Beretta e le altre, a cui il film aveva risvegliato l’immagine di una donna eccezionale, ma sepolta dalla storia. Ciascuna a suo modo sente ora una forte spinta a spendersi affinché, come sperimentato nella serata della presentazione, la memoria dissepolta di Ipazia, perdipiù elaborata ed offerta da donne, non sia semplicemente destinata ad alimentare, come una specie di piatto raffinato e dal sapore esotico, la variegata tavola sempre imbandita del vorace e narcisistico metabolismo maschile.
Il pensiero va invece alla possibilità di far agire la potenza simbolica di Ipazia anche al di là del gruppo, magari in altri contesti. Può essere l’occasione per dare anima oltre che vita alla Biblioteca, da poco riaperta, o per proporre alle/agli insegnanti e studenti, come richiesto da alcune delle donne presenti il 10 Giugno, un esempio di azione magistrale e di sapienza relazionale femminile.
Il lavoro svolto non va, quindi, archiviato, ma va rilanciato proprio alla luce degli accadimenti della fatidica serata. Il come appare immediatamente con tutta evidenza: mettendo per iscritto quei fatti. Non per tutte, però, risulta ‘naturale’passare dall’esperienza alla parola; e proprio chi ha più dimestichezza con la parola sente il peso, spesso paralizzante, della scrittura, avverte la propria inadeguatezza a dire, come la buona scrittura richiede, nulla più del giusto e del necessario.
Giunge provvidenziale, oltre alla forza del comune desiderio, un’intuizione che si presenta con la naturalezza e l’evidenza, con cui si impongono di norma le cose più grandi e più giuste: rivivere, alla luce delle ancor fresche emozioni, il ‘film’ della serata, ri-guardare l’evento sequenza per sequenza, riconnettendolo al lavoro preparatorio, alle fonti utilizzate, al back ground di ciascuna e del gruppo, fino a ‘guadagnare’ collettivamente il senso profondo di ciò che era avvenuto e poterlo così tradurre nelle parole più adatte a significarlo.
Saranno tre mesi di lavoro esaltanti, forse irripetibili. Il pensiero di ciascuna troverà sempre rispondenza e rilancio in quello di qualcun’altra, lo scritto di ognuna non farà alcuna fatica a trovare il giusto incastro nel piano di lavoro, e nessuna si sottrarrà dall’affidare, se necessario, il proprio pensiero alle parole dell’altra e tutte si riconosceranno appieno nelle parole di ciascuna.
Il progetto in corso d’opera crescerà su se stesso; si partirà dall’idea di comporre una dispensa di qualche decina di pagine, da destinare a insegnanti e studenti oltre che ad amiche e amici, a quella di una modesta pubblicazione da stampare in poche copie, infine, su sollecitazione di Giuliano, a quella di un ‘vero’libro, con belle immagini e veste grafica allettante.
Prenderà vita così una nuova rilettura di Ipazia, nella quale la filosofa apparirà non più soltanto un luminoso esempio di eccellenza e libertà femminile, ma assurgerà, invece, a paradigma di autorità femminile nella polis e nelle relazioni con il mondo maschile. Dalle testimonianze della sua
‘ magnifica eloquenza’, della sua sapienza magistrale, della forza e libertà del suo pensiero, della stessa presenza nelle vicende del tempo verranno estratti e posti in evidenza aspetti dell’essere-nel-mondo delle donne di valore archetipico e soprattutto inequivocabili esempi di parola femminile che prende corso sia tra le donne che tra gli uomini.
Al termine del percorso le autrici capiranno di aver guadagnato insieme alla Ipazia che ‘desideravano’ il senso vero della loro ricerca: come tradurre la differenza femminile in lingua comune e in azione politica efficace per ambo i sessi.
Non sarà l’unico guadagno. Terminata l’opera le autore capiscono che le loro storie si sono alfine intrecciate:da individue, con percorsi distinti e in qualche tratto paralleli, sono divenute ‘gruppo’, anzi il nucleo di una comunità femminile, che ambisce a farsi soggetto nella politica della città. Ipazia ha compiuto il miracolo che neppure la rinascita della Biblioteca era riuscita a fare.