Luisa Muraro
Questo titolo che somiglia ad un rebus, e’ il nome di una contraddizione formulata da una donna con queste parole (che cito a memoria): “Capitano a volte delle cose per le quali una sente che deve esserci, ma come? Tutta la mia competenza viene dai contesti che ho saputo tessere insieme ad altre, seguendo certe pratiche, e dalle mie relazioni con queste altre. Al di fuori di li’, non ho la competenza necessaria, non ho un pensiero mio, non saprei che cosa dire e come agire”. La competenza di esserci, ricordate, e’ il tema di un ottimo testo, autrice Ina Praetorius, apparso su Via Dogana n. 60, Quelle che sanno esserci, testo che ha destato l’interesse di molte e molti. Il testo, in origine un discorso, termina con queste parole: “Quello di cui avete bisogno e’ un linguaggio chiaro che tocchi le radici della nostra esistenza, e il coraggio di utilizzare questo linguaggio pubblicamente e ad alta voce, in modo che tutti capiscano che quello che e’ in gioco e’ piu’ di una difesa dei propri interessi: e’ in gioco l’insieme di questa cultura”. Anche noi, dopo aver riflettuto sulla questione posta da quella donna (Mariri’ Martinengo), abbiamo concluso che c’entra il linguaggio. Abbiamo bisogno di un linguaggio universale, ci siamo dette. E qui cominciano i problemi per i quali abbiamo fatto questo numero della rivista (non con la pretesa di risolverli ma di metterli in parola). Il primo e’ costituito da un certo attaccamento delle donne al contesto, che si tratti di pensare, di parlare o di agire. Sono moltissime quelle che hanno bisogno o che comunque preferiscono regolarsi in base al contesto; fra queste, molte considerano il legame con il contesto un vero e proprio “irrinunciabile” e a ragion veduta, poiche’ solo a questa condizione esse hanno, al tempo stesso, il senso di esserci, la certezza di ragionare bene, il gusto di agire.