Libreria delle donne di Milano  
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Andare al mercato e portare a casa la pelle.
di Elisabetta Marano

Come esserci in quei contesti che mi stanno a cuore, nel mio caso il lavoro, dove si intrecciano rapporti fatti da uomini e donne?
A queste domande anch'io come altre tento di rispondere provando a pensare alla relazione con gli uomini: relazioni nuove che implicano il mettersi in gioco personalmente, in una relazione degna di questo nome, dove l'alterità viene accettata fino in fondo.
Ecco un gancio per riacciuffare la realtà!
Ora, però, quello che a me manca è: Come posso io rapportarmi con gli uomini libera dalla paura di essere inascoltata, interpretata,capace di interloquire senza essere troppo affezionata a quello che affermo, resistente alla tentazione di perdere qualcosa e di perdermi contemporaneamente?
Una piccola possibilità di riflessione l'ho trovata nella favola antica di Sherazad, restituitaci da Fatima Mernissi nei suoi libri.
La storia è nota: un sovrano ammazza ogni giorno una giovane suddita, fino a sterminare l'intera popolazione femminile. A questo punto entra in scena S. e la sua strategia di vita.
S. non subisce la situazione ma sceglie volontariamente di unirsi ad uno sposo/sovrano che incarna l'estremo, accettando una posizione di disparità assoluta, in quanto a libertà e potere, e in cui si gioca quotidianamente la possibilità di preservarsi.
Sceglie la relazione col sovrano e il racconto: usa le parole come un cuneo per entrare nella psicologia del Sovrano, e lo fa per garantire la sopravvivenza sua e di altre.
Si gioca soprattutto la tensione e la paura di non portare a casa la pelle, di venire annullata dal sovrano; si gioca la mia e la sua paura di sparire, di essere cancellate, non riconosciute, di perdersi.
S. mi ha colpita e suggestionata perché modifica una situazione di grande squilibrio appellandosi ad una parola che non è mai rivendicativa e che non si contrappone: accetta di passare per una mancanza, di sporgersi su un vuoto, quello dello spazio tra lei e il sovrano, che non è mai stato sperimentato da nessuna prima, accettandone il rischio e l'imprevisto. Mi sono chiesta cosa domandasse la parte più emotiva di me ad una figura femminile di questo tipo: ho capito che S. attraversa la mancanza di esempi e soluzioni e l'impotenza che ne consegue senza viverle come fragilità. Ho ripensato al rapporto con mio padre e con il mio capo e a come mi comporto quando nasce con loro un contrasto su qualcosa che per me è basilare conservare in quel momento; mi irrigidisco, faccio muro e mi chiedo automaticamente:-perché devo essere io a cedere? Molte volte ho sentito che il rapporto con l'uomo, proprio a cominciare dal rapporto con mio padre, mi avrebbe imposto un dover essere simile a ciò che lui voleva per me, e che l'unica possibilità per affermarmi era contrastarlo e andarmene via. Ma questa tattica ormai non è più una soluzione perchè non posso cambiare un posto di lavoro all'anno! Con il mio capo non sono infatti capace di inventarmi niente di nuovo rispetto alle mie due antiche forme di sopravvivenza, cioè irrigidirmi o andarmene, che da sole mi portano ben lontane dall' esempio di S. che mi piace tanto.
E la pelle, io, come la porto a casa ora?

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