Stralci
dal capitolo 4: Lavorare libera
[...]
Il tempo
presente è il tempo dell' "orrore economico"? Se diamo
ragione a Viviane Forrester non c'è che disoccupazione e svalorizzazione
di sé, supersfruttamento e alienazione. Domina incontrastato
il "pensiero unico" che capitale finanziario, vittorioso in
tutto il globo, ha plasmato a sua immagine e somiglianza. Angoscia comunicata
dal film Nuvole in viaggio, di Aki Kaurismaki; colorì tra il
verde, il tosso e il celeste per riprendere una Finlandia cupa, disperata,
dove lui, il marito, Lauri, tranviere, è stato il primo a perdere
il lavoro. Ci sono linee da tagliare. Il padrone fa decidere a un mazzo
di carte quale dei suoi autisti licenziare. Lauri prende un tre di fiori
e viene "liberato". Poi tocca alla moglie' Ilona, capocamenera
del ristorante Dubrovnik condannato a trasformare in un fast-food. Il
vecchio personale deve andarsene. Eppure, la via di uscita, sarà
magari una favola, la trova la protagonista che, insieme alla ex padrona
del Dubrovnik, apre un nuovo ristorante, offrendo un posto anche al
suo compagno.
Altra scena, altro paese. Siamo, con il regista Mark Herman , nell'Inghilterra
della grande ristrutturazíone anni ottanta. Qualche cifra: dal
1984 a oggi 140 miniere chiuse, e 250 000 operai hanno perso il lavoro.
Che lavoro fa per vivere chiede una damina al clown. E lui: «Ha
presente, signora? 1 dinosauri, i gorilla, i minatori ... ». In
un paese dello Yorkshíre, il "collettivo", rappresentato
da una bandadipaese, "ringrazia" la signora Thatcher con un
riscatto umbolico a suon di musica. Anche qui, molto dipende dalla presenza
angelica di una "analista di mercato", chíamata dal
padrone ma capace di suonare il flicorno insieme agli operai.
Se è vero che dopo il fallimento tragico dei progetti di trasformazione
sociale che credevano all'abolizione del mercato, dopo il tramonto del
modo di produzione che aveva al centro il " proletario " salariato,
il movimento operaio ha perso parola, quasi non avesse più presa
simbolica sul mondo, la possibilità di sfuggire al pensiero "unico
95 viene' prima a di tutto, dalle suggestioni dell'immaginario. Puntando
sull'intervento di figure femminili che sembrano capaci di rovesciare
la situazione grazie a un'idea diversa del conflitto. E del lavoro.
Dal momento che si sta verificando un grande cambiamento. Oggi, il lavoro
ha sempre più a che fare con la comunicazione e il linguaggio.
Anche se bisogna poi capire quali siano le condizioni di accesso al
linguaggio e chi ha la possibilità di usarlo. Comunicare significa
essere dentro la produzione con la comprensione della propria attività,
grazie al proprio agire comunicativo. Mettersi in relazione; cooperare.
Riuscire così, ma questo è l'interrogatívo, a evitare
i buchi neri dell'alienazione.
Nei Sottosopra, perno del ragionamento sarà il desiderio di libertà
"nel" lavoro, l'attribuzione di competenza e cioè l'intelligenza
individuale e collettiva delle sítuazioni» (Philippe Zarafian,
Travail et Communication, Puf, 1996). Al punto da assumere proprio il
mercato come luogo possibile della costruzione di senso. Oltre i "valori"
economici della competizione, del guadagno e del denaro considerato
l'unica misura. Oggi corpo, linguaggio, tempo di vita, sono sempre più
messi al lavoro. Tanto vale saperlo, e reagire senza imboccare impossibili
linee di fuga, ma arricchendo la "contrattazione" di tutto
ciò - affetti, desideri, doni, progetti - che la logica del "pensiero
unico" tende a rimuovere e cancellare.
L'uso del termine "contrattazione" allude alle differenze
tra il meccanismo della contrattazione sindacale e politica, basata
sulla rappresentanza di interessi collettivi - un "noi" peraltro
sempre più difficile da identificare e definire - e quella contrattazione
che si tesse nelle relazioni personali, dove è sempre necessario
partire da sé e incontrare l'altro costruendo mediazioni. Meccanismo
che si riproduce anche in ogni singola persona, "tra sé
e sé", dando luogo alle modificazioni della coscienza. Che
cosa vuol dire? Che è sbagliato tacciare di non "politico"
questo livello "fine" della contrattazione, in cui certo non
sono in gioco "grandi numeri" o il potere di prendere "grandi
decisioni", ma forse una cosa più importante, "la libertà
che nasce dalla modificazione di sé". Nel tempo presente
- osserva ancora quel Sottosopra - le «masse, nella politíca
così intesa, sono già state coinvolte, e della loro storia
sono diventate protagoniste, nel senso che sono immesse,consenzienti,
nel ciclo produzione-consumo, essendo perfettamente al corrente della
propria situazione, grazie alla cultura dei mass-media, di cui fanno
grande consumo Che questa promozione vada insieme a paure crescenti,
a un generale impoverimento simbolico, e, fra le persone giovani, a
molta tristezza, è innegabile. Ma non si può dire che
sia l'effetto di un inganno né che, sotto sotto, stia covando
una volontà generale di cambiamento. No. Noi pensiamo che sta,
piuttosto, l'effetto di un orizzonte troppo limitato entro cui' le accresciute
possibilità materiali devono stare e giocarsi. E pensiamo che
questo orizzonte non possa aprirsi per arrivare a comprendere traguardi
più allettanti* o sfide più entusiasmanti senza quella
libertà che nasce dalla capacità di modificazione di sé,
la quale, a sua volta, viene con la pratica della contrattazione tra
sé e sé, tra sé e il mondo».
Nel momento storico in cui il lavoro cambia, assumendo un maggiore
contenuto comunicativo e relazionale (diversamente dal modello tayloristico
nel quale la gran parte dei salariati era esclusa dalla partecipazione
al linguaggio dell'organizzazione produttiva) e conosce il contraddittorio
estendersi di forme autonome, assistiamo anche all'ingresso delle donne
in numero crescente nel mercato del lavoro. Se la separazione tra pratica
e obiettivo è stata introiettata per decenni, oggi, la femmínílizzazione
e la capacità di " contrattazione fine " basata sulle
relazioni personali si riveleranno una leva per la trasformazione?
[...]
Il sesso dell'intelligenza
Nei Sottosopra,
l'idea che sia necessario "un lavoro del pensiero" capace
di far leva sulla differenza femminile nel luoghi della produzione,
è una costante. Prendiamo il testo del Gruppo del martedì
della Camera del lavoro di Brescia, pubblicato nel Sottosopra del gennaio
1989 'T filo di felicità". Un gruppo di sindacaliste, alcune
funzionarie, altre delegate, racconta l'esperienza di una pratica politica
diversa, dentro la Cgil. In particolare, lo scontro con la decisione
del direttivo nazionale della Confederazione di ricostituire i "
coordinamenti donne " (luglio 1987). E la critica alla politica
delle quote. E' la storia di un conflitto, ma anche l'individuazione
di un terreno dove «si gioca il valore della presenza femminile».
«Troviamo difficile analizzare come nasca effettivamente la
nostra forza. La sua fonte è femminile, questo è sicuro,
come è sicuro che la sua base sono le relazioni fra donne. Ma
è generico, oltre che ormai risaputo. Andando più a fondo,
vediamo che c'è il fatto che ci siamo scelte e che alla base
di questa scelta c'è un Progetto forte, ricco anche del sapere
che noiabbiamo accumulato rispetto a questo luogo. Noinon abbiamo rivendicazioni
o richieste da avanzare nei confronti del sindacato. Noi vogliamo essere
il sindacato di donne e uomini, il sindacato che tiene presente la differenza
sessuale a tutti i suoi' livelli [ ... ]. Un'occasione per ap
profondire le nostre idee, è venuta con la discussione sulle
quote garantite. In un primo momento non abbiamo trovato una posizione
che ci legasse con la forza della convinzione. Adesso comincia ad esserci,
anche perché ci siamo misurate su questa questi one con la nostra
prati ca po liti ca. Siamo contrarie alle quote per molti motivi, alcuni
dipendono
dalla situazione, altri sono più di fondo.
Intanto abbiamo l'impressione che con questo discorso delle quote sì
voglia chiudere sbrigativamente il problema della presenza o assenza
delle donne nel sindacato.
Ci offrono questo 25 % con l'aria di dire: Vi abbiamo risposto, avete
avuto quello che volevate.
Se si accetta, di ridurre la differenza sessuale ad un semplice calcolo
matematico. ad un riequilibrio di presenza, si indebolisce la possibilità
di mantenere aperto un conflitto che è politico.
Per questo sentiamo le quote una svalutazione del sesso
femminile. Un soggetto - maschile - conserva una rappresentanza universale.
Noi accettiamo il confino, ci facciamo
ridurre a gruppo politico, il conflitto vi ene così mantenuto
nel 25%, non esce! Le quote portano in sé questo significato
di rimedio di una debolezza, questo ha conseguenze negative in ogni
caso, ma specialmente nel mondo del lavoro dove la cosa determinante
sono i rapporti di forza.»
La
ricerca di una politica di autonomia nel sindacato conclude il testo
con una domanda più generale: «Come
far nascere, come far parlare, la libertà femminile nel mondo
del lavoro?». Una
prima risposta è stata quella di rovesciare l'invisibilità,
o la visibilità negativa del rapporto tra donne e mercato del
lavoro. Perché, fino a un certo momento, le donne erano invisibili:
nelle fabbriche e negli uffici esistevano solo lavoratori. Oppure, se
veniva nominata la loro esistenza - succederà in seguito, nella
sinistra specialmente - era per registrare uno svantaggio: sono poche,
pagate meno, costrette al doppio lavoro, giacché continuano a
prendersi cura anche della famiglia e' della casa.
Ma la scelta
del lavoro, e per le più giovani dello studio, è dipesa,
nell'ultimo decennio, da un «senso della necessità»,
da un imperativo che corrisponde a una rivoluzione nelle coscienze femminili.
Ostacoli, difficoltà, svantaggi vengono affrontati con un investimento
nel lavoro e ancora più nel sistema di conoscenze e di relazioni
che può offrire, legato a una soggettività che non sopporta
più rinunce.
Questa spinta
produce novità e cambiamento negli stessi luoghi della produzione.
Solo che si abbia voglia di guardare. Scrive Paola Piva nel Lavoro sessuato
(Anabasi, 1994): «Il
fatto che le donne abbiano storicamente coltivato legami soprattutto
nell'ambito delle relazioni primarie (l'aggregato domestico) e gli uomini
si siano responsabilizzati piuttosto nei confronti di collettività
più ampie, sembra aver generato delle competenze diverse. Consapevolmente
o meno, di questo le organizzazioni tengono conto nella divisione dei
ruoli: all'uomo viene affidata la gestione di molti dipendenti, alla
donna i piccoli gruppi; all'uomo la rappresentanza in pubblico, alla
donna le relazioni inforinali, dietro le quinte. Una distinzione tecnica,
di contei del lavoro, che si traduce immediatamente in una distinzione
verticale, di potere e di prestigio».
Differenze
che possono essere avvertite ancora come fattori di svantaggio in termini
di carriera. Avrebbe dunq que ragione il capo del personale che, interrogato
sulle distinzioni di ruolo tra uomini e donne, ha risposto: «Qui
si I lavora con la testa e l'intelligenza non ha sesso». In realtà,
le ricerche sul campo dimostrano che lo stesso equilibrio roduttivo
ha bisogno delle qualità maschili e femminili.
E dalla differenza femminile riparte Lia Cigarini «L'investimento
di senso nel rapporto con il lavoro si esprime per lo più per
le donne nell'agire e pensarsi in relazione»
(La rivoluzione
inattesa, Nuova Pratiche Editrice, 1997). La femminilizzazione del mercato
del lavoro, la tendenza delle donne a impiegarsi nel terziario, spesso
tecnologiamente avanzato, o ad associarsi in microimprese di sole donne,
delinea una situazione che, tuttavia, «sembra configurare - scrivono
Lia Cigarini e Maria Marangelli (sul numero 37 di Via Dogana) - più
che un libero gioco, della differenza, una nuova e più qualificata
divisione sessuata del lavoro. Non ci basta».
Senza una critica alla politica sindacale che ha come oggetto solo il
lavoro subordinato, la riduzione dell'orario, il risarcimento in denaro
per un'attività inevitabilmente etoridiretta; senza una teoria
del lavoro che sappia riconoscere la "qualità delle relazioni"
introdotte dalle donne "come barriera all'alienazione ", il
"di più"che la presenza femminile apporta nel mercato
rischia di essere semplicemente "scippato" dalle imprese sotto
la forma delle competenze relazionali, di "cura".
La valorizzazione delle forme di conflitto individuale,
o di piccolo gruppo, proprio quando diminuisce vvistosamente il ricorso
allo sciopero, la critica all'idea di un sistema di diritti calato dall'esterno
a tutela del mondo del
lavoro, investito dai processi di flessi ' bilizzazione propri del postfordismo,
hanno suscitato attorno a queste posizioni un dibattito vivace. Con
l'accusa - argomentata da Manuela Cartosio sul Manifesto - di puntellare
di fatto le posizioni più "di destra" che si manifestano
nella Cgil, o "peggio", in ambito confindustriale, a favore
della flessibilità e della più radicale deregolamentazione.
Francesco Garibaldo, direttore dell'Istituto del lavoro di Bologna,
apprezza (sul numero 40-41 di Via Dogana) l'idea di una rivoluzione
"simbolica" nel rapporto tra nuovo lavoro e soggettività,
però vede nella critica alla rap presentanza e alla contrattazione
collettiva il pericolo di evocare "forme neofeudali" in una
società sempre più frammentata in gruppi. «Il neofeudalesimo
esiste già, e l'organizzazioni della sinistra hanno contribuito
non poc a consolidarlo» è la risposta di Sergio Bologna.
D'altra parte, le grandi "carte dei diritti", dalla Rivoluzione
fran cese allo Statuto dei lavoratori «sono state scritte dop
una dura lotta sociale in cui i soggetti hanno espresso di rettamente
i propri bisogni e disegnato i confini della pr pria libertà».
Per i Sottosopra, la soggettività delle donne è capactà
di "disegnare i confini della propria libertà" senza
passare attraverso le forme politiche proprie dei partiti e della rappresentanza
collettiva. Strada suggerita anche per sviluppare nuove prese di coscienza
e nuove forme di autotutela tra le lavoratrici e i lavoratori che scelgo
no di impegnarsi nelle attività autonome (con una soggettività
dunque, diversa rispetto a coloro che sono costretti ad accettare forme
precarie e parasubordinate di impiego, mancanza di un "posto fisso").
Invece di imitare forme di organizzazione proprie del movimento operaio
nella sua fase di espansione taylorista e fordista, meglio una Il narrazione"
e una autorappresentazione dei "nuovi lavori" dalla quale
può nascere uno sviluppo della cooperazione e della mutualità,
come ha osservato anche Aldo Bonomi in varie ricerche sulle trasformazioni
del "capitalismo molecolare". Uno sviluppo verso dimensioni
collettive comunque capaci di non comprimere la singolarità di
ogni soggetto, maschile o femminile. Ma anzi, di dargli esistenza, riconoscimento,
di rilanciare la possibilità di muoversi in autonomia, non riducendola,
come è avvenuto nei luoghi di lavoro industriale. Nel fordismo
i lavoratori (di qui la confusione e l'invisibilità delle lavoratrici?)
erano, fuori dai cancelli della fabbrica, soggetti a tutto tondo, responsabili,
autonomi; dentro i cancelli della fabbrica oggetti dell'organizzazíone
dove vendevano la loro forza lavoro. I sindacati, i partiti, si facevano
carico, erano i rappresentanti istituzionali di questa sit uazione lacerante.
Ma adesso? La nostra impressione è che l'io diviso dei lavoratori
sia in profonda crisi. Potrà essere una crisi benefica?
L'amore del rischio
Se la discussione
sulle tendenze nel lavoro autonomo quantità, motivazioni, condizioni
di padronanza o nuova schiavitù - è destinata a restare
aperta, pochi dubbi sul fatto che un'esplicita preferenza femminile
per un'atti vità produttiva non subordinata emerge se si guardano
i dati del comparto artigiano. Qui - informa il rapporto Censis del
1998 - «l'imprenditoria femminile ha rappresentato in questi anni
la componente più vitale e dinamica di sviluppo. Dal 1993 le
artigiane sono cresciute di oltre diecimila unità, raggiungendo
le attuali 284.000, e questo
in controtendenza con quanto avvenuto nel corso degli stessi anni sia
nel comparto maschile dell'artigianato, che ha assistito a un calo complessivo
dei titolari di impresa di oltre 23.000 unità, sia nel mondo
del lavoro autonomo femminile in generale, dove dal 1993 l'occup azione
è diminuita del 3,3 % ».
Soprattutto due fattori sembrano aver suscitato l'interesse femminile.
Una minore rigidità nell'accesso ríspetto a un mercato
del lavoro dipendente ancora molto chiuso, e maggiori possibilità
di coniugare l'attività professíonale con le esigenze
della vita privata: oltre l'80% delle artigiane sono sposate, e l'82
% ha figli. Quest ' ultimo dato risulta sensibilmente superiore rispetto
al 54,4 % relativo alle donne che lavorano e che hanno figli.
Per A Censis questa crescita dell'artigianato femminile trova il suo
maggiore stimolo in alcuni aspetti della dimensíone soggettiva
del lavoro, come la «forte motivazíone» e la «volontà
di rischiare in prima persona».
In fondo, la "volontà di rischiare" è alla base
della scommessa sulla presa di coscienza. Autocoscienza è la
pratica politica che i Sottosopra raccontano sin dai primi anni settanta,
e che coinvolge non solo le "femministe», ma anche gruppi
di operaíe nelle fabbriche.
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