"Nella
scuola le donne hanno portato uno stile, un'intensità e una
qualità di lavoro particolari. Finora ciò non era stato visto.
Questo servizio mostra che qualcosa sta cambiando, e ci fa
piacere che a mostrarlo sia un rotocalco femminile."
PROFESSORI
DI FRONTIERA
Insegnare
la grammatica dove la vita balbetta, parlare di matematica
dove i conti non tornano mai. Nel degrado delle periferie
la scuola è una sfida continua. Che si vince e si perde puntando
sulla passione dei ragazzi e la fantasia degli insegnanti.
Che hanno fama di impiegati. Ma tutta l'aria di essere eroi.
Di Paolo di Stefano
Via dei Mandorli, via dei Lillà, via dei Narcisi. A giudicare
dai nomi delle strade, Rozzzano, cintura sud di Milano, è
un prato multicolore di fiori, un'oasi di dolci profumi: glicini,
viole, azalee, camelie, stelle alpine. Eppure, appena fuori
dalla tangenziale, tra cavalcavia, intrichi d'asfalto e rotatorie,
palazzi grigi, fumi e foschie, la toponomastica sembra uno
scherzo, un contrappasso infernale. Siamo in una delle quattrocento
sedi italiane definite aree a rischio dal ministero della
Pubblica istruzione: scuola media ex Verga, detta anche Luini-Falcone
o succursale di via dei Garofani, costruzioni basse fine anni
Sessanta coperte di mattonelle verdi. Anche qui è arrivata
l'eco dell'annunciata riforma Moratti, ma non si prevedono
cortei né manifestazioni di protesta. Qui a Rozzano da anni
si lavora e basta, si resiste; e nessuna riforma riuscirà
a intaccare la speranza di poter salvare dal baratro almeno
qualcuno delle centinaia di ragazzi minacciati da tutto: dalla
delinquenza, dalla droga, dall'abbandono. A dimostrazione
che la scuola pubblica, così priva di considerazione e di
sostegni finanziari, non manca di impegno, di preparazione,
di fantasia. La scuola italiana al tempo della Moratti è anche
questo.
Per rendersene conto, basta ascoltare la vicepreside Micaela
Francisetti, che parla di devianza e patologie, di violenze,
di genitori in carcere o morti per overdose, di giovani ricattati,
di allievi affidati ai servizi sociali o a famiglie esterne,
di un ex alunno che di recente è stato ucciso in uno scontro
a fuoco con i carabinieri dopo una rapina, di un altro che
in fuga con una macchina rubata si è schiantato lungo il Naviglio.
Ma anche i laboratori, di attività multimediali, di sperimentazione,
del progetto "Scuola di tutti" che, grazie a un finanziamento
europeo, ha ottenuto risultati straordinari su "ragazzi amorfi,
depressi o aggressivi" che dopo un ciclo terapeutico hanno
scoperto la passione per la gastronomia o per l'elettrotecnica
e hanno persino cominciato alcuni stage professonali. "C'è
un livello di disagio altissimo", dice Micaela. Altro che
via dei Mandorli o via delle Viole.
Basta ascoltare Filomena Pellegrino, insegnante di lettere,
cinquantenne di Salerno, per capire quanti piccoli miracoli
possono nascere da questa realtà alla deriva: "La gente pensa
che il sociale sia solo San Patrignano. Io lavoro qui da vent'anni,
ho resistito come altri; le "amiche" della ministra, invece,
quelle che pensano che si debbano aiutare le scuole private,
sono fuggite subito, ma per fortuna è rimasto un gruppo storico
di insegnanti a presidiare il territorio, anche se qualche
volta abbiamo persino paura per la nostra incolumità fisisca…
In queste condizioni, ogni tanto ti butteresti giù dallla
finestra ma quando vieni a sapere che un tuo alunno è riuscito
a laurearsi ti sembra un miracolo". Grandi miracoli: dalla
ex Verga sono usciti in cantante Biagio Antonacci e il calciatore
Arturo di Napoli, ex Inter, le maggiori glorie dell'istituto.
E piccoli miracoli, come il caso di Carletto: E' Micaela a
raccontarlo, con orgoglio: "Dieci anni fa, circa. Carletto
ripeteva per la terza volta la prima media". Interviene Filomena:
"Io l'avevo avuto l'anno precedente: dormiva in classe e se
lo svegliavi ti aggrediva. Il fatto è che lui la mattina presto
andava a lavorare con sua madre per l'impresa di pulizie e
quando veniva a scuola era stanchissimo. Suo padre era un
tipo violento, lo picchiava, aveva violentato la fidanzata
del figlio maggiore e noi più volte siamo andati al Tribunale
dei minori per testimoniare… Insomma, Carletto quando veniva
a scuola, se veniva, non voleva fare niente, metteva le mani
addosso ai compagni, insultava tutti, un disastro". Ma il
terzo anno qualcosa succede, un piccolo miracolo. Micaela
sorride al ricordo di quel bel ragazzino che a un certo punto
si sveglia dalla sua apatia: "Noi qui, grazie all'aiuto del
comune, abbiamo una serra. Appena Carletto è entrato nella
serra ho scoperto che aveva la passione per il giardinaggio,
sembrava nato con la zappa in mano. Incredibile. Diceva che
suo nonno gli aveva insegnato a lavorare la terra, ha cominciato
a dirigere i compagni e a poco a poco è diventato un leader,
ha conquistato fiducia e prestigio. Così con tutte le sue
lacune e i suoi problemi, ha cominciato a seguire con interesse
le altre lezioni. Si è trasformato. Quando aveva dei momenti
no, mi diceva: non me la sento, e andava giù nell'orto a lavorare".
Il laboratorio di botamica, al primo piano, è un locale con
tante piantine allineate lungo le finestre, coroncine e fiori
secchi appesi alle pareti, un gruppo di ragazzini che lavora
in silenzio, sui tavoli qualche vasetto di ceramica creato
dagli stessi allievi. Il compito degli insegnanti, qui, non
è tanto quello di imporre nozioni e concetti, quanto la necessità
di sollecitare un interesse qualsiasi, di risvegliare la passione,
di raccogliere le confidenze, di avere fantasia, di comprendere.
"Carletto, c'erano dei giorni in cui arrivava stanco e sporco.
Una volta, dopo aver lavorato con la terra, aveva i calzoni
bagnati di fango. Gli ho detto; vai a casa a cambiarli. Mi
ha guardato e mi ha risposto: ho solo due paia di pantaloni,
uno è questo, l'altro mia madre me l'ha appena lavato. Non
si vergognava, diceva le cose come stavano". Carletto che
raccoglieva la rucola e l'insalata per tutti; Carletto che
durante l'estate andava a innaffiare e a sorvegliare il suo
orto per evitare che i teppisti locali (molti dei quali suoi
amici) andassero a devastare le piante. "La serra è diventata
la sua casa, una casa da proteggere. Grazie al giardino, si
è salvato" continua Micaela "se non ci fosse stata la serra
si sarebbe perso come tanti. All'esame di terza media ha parlato
di questa sua esperienza, ha portato i suoi progetti di botanica,
le sue poesie sulle piante, eccetera, e così è stato promosso
e adesso ha un lavoro, si è sposato a vent'anni e ora ha un
figlio. Finiscono sempre per ripetere le storie dei loro genitori:
le ragazze si sposano a sedici anni, come le loro madri, e
poi si fanno subito figli perché dicono che i figli si fanno
da giovani".
Micaela va a prendere una bottiglia di limoncino prodotto
a scuola. E Filomena ricorda:"L'ultimo anno siamo andati in
gita al Gran Paradiso, a un certo punto c'era un crepaccio
e io non riuscivo a muovermi. Carletto, grande e grosso com'era,
mi ha preso in braccio e mi ha portato dall'altra parte, una
scena bellissima, da immortalare. Il grande motore di tutto
e' l'affettività, se non ci riesci a entrare in una relazione
affettiva con loro, non c'è niente da fare". Finanziamento
didattico previsto per l'istituto ex Verga: venti milioni
l'anno. Da cui si devono ricavare i materiali di cartoleria,
quelli per la ceramica, per le piante, per i fax e persino
per la carta igienica. "Non ci si può nemmeno immaginare quanto
sia povera la scuola, e ora ci sono i miliardi da pagare agli
istituti privati… Roba dell'altro mondo. Ma noi non molliamo,
nella povertà piu' totale non possiamo certo chiedere contributi
ai genitori come fanno a Milano. Vorrà dire che ci metteremo
a fare i mercanti, mostre, tombole. In fondo la fantasia non
ci manca".
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