L'arte
che contesta
Week
end d'arte e di riflessione a Siena, dove il Palazzo delle
Papesse ha organizzato un convegno per rispondere a domande
sempre più necessarie e urgenti, dopo il 20 e luglio
a Genova dopo l'11 settembre a New York e a Washington: qual
è l'impatto della globalizzazione sull'arte, l'architettura,
la letteratura? Quale invece quello dei conflitti planetari
e locali? Il linguaggio artistico. deve confrontarsi con la
crescente conflittualità che sia attraversando pianeta?
Deve continuare a creare immagini anche quando queste sono
poi utilizzate in altri ambiti (la pubblicità, per
esempio che ne snaturano la motivazione iniziale?
Il i titolo dell'incontro "io la contestazione la vedo
così", tratto da uno scritto di Pino Pascali redatto
nel 1968 dopo gli scontri avvenuti alla Biennale di Venezia,
tra gli studenti e la polizia ? con il manifesto che riproduce
il "no", su sfondo rosso di Mario Schifano del 1961
?, vuole invitare i relatori ? artisti, architetti, storici
dell'arte, filosofi, semiologi e uomini politici ? a tornare
anche sugli avvenimenti del G8 di Genova, sulla protesta che
aveva infiammato quei giorni, a quei manifestanti no global
che ora (Scaloja e Berlusconi in testa) vogliono assimilare
senza mezzi termini alle istanze fondamentaliste del terrorismo
internazionale.
Fatti genovesi ripercorsi ampiamente nelle immagini di cui
si compone la mostra allestita nel Palazzo delle Papesse ("Cronache
d'arte e di guerriglia.", sabato e domenica scorsi) che
in tal modo si apre, primo museo in. Europa, a fatti che hanno
cambiato in qualche modo la nostra società intrecciandosi
necessariamente con la produzione artistica contemporanea:
il centro di cultura senese continua a dimostrare un'attenzione
particolare ai cambiamenti in atto nel sociale, testimoniato
anche dalle esposizioni precedenti come quella dedicata all'arte
israeliana e palestinese oppure quella, recentissima, dedicata
al "Dono".
Si poteva così rivedere lo straordinario montaggio
di Blob a Genova firmato da Enrico Grezzi, che per quattro
giorni ha seguito da vicino pestaggi, fughe, lanci di pietre
e lacrimogeni, attacchi del Blocco nero e gesti di pace intervallati
sapientemente con le firme patinate degli otto grandi, i sorrisi,
la valanga insensata di quiz e balletti televisivi, continue
incursioni in classici indimenticabili.Seguire poi la cronaca
con le fotografie di Lorenzo Maffei, il video e i documenti
di Mario Lupano oppure la storia con la mappa dei conflitti
planetari delineata da Bernardo Giorni e Gregorio Galli con
l'aiuto di post-it gialli, che questa volta indicavano non
appuntamenti ma date, cifre, paesi. Quindi allontanarsi dai
fatti con l'installazione di Armin Linke che voleva piuttosto
evocare in termini spaziali, l'occupazione della, dimensione
urbana da parte del potere, mediatico e politico.
Con le parole invece i numerosi relatori, da Sergio Givone
a Enrico Ghezzi, da Luciano Fabro a Maurizio Maggiani, da
Fausto Bertinotti ad Achille Bonito Oliva ? che ha mandato
un suo lungo video?messaggio perché impegnato altrove
?, da Massimiliano Fucksas - che come intervento ha presentato
il video Magma City, immagini di un mondo tagliato tra opulenza
e povertà, grattacieli e discariche ? a Omar Calabrese,
hanno provato ad aggiornare la mappa artistica e culturale
alla prova dei cambiamenti repentini e drammatici che stanno
segnando il nostro presente.
Interventi che di volta in volta hanno preso accenti nichilisti,
filosofici, politici oppure storico-artistici, creando un
mosaico di estremo interesse. Lo scrittore Tiziano Scar pa,
per esempio, ha esordito citando Matrix, "Benvenuti nel
deserto del reale", per teorízzare la morte della
fiction, decretata dall'utilizzo sorprendentemente mediatico
delle immagini ? le Twin Tower ferite a morte dagli aerei
? da parte degli attentatori. Mentre Sergio Givone, che ha
offerto notevoli spunti di riflessione, ha guardato alla violenza
non come a una condizione originaria, naturale, astorica,
propria dell'essere umano, quanto piuttosto come a un fatto
culturale. E quindi attinente alla rappresentazione. In qualsiasi
atto di violenza c'è comunque un messaggio che si vuole
inviare e che dunque rimanda ad un'altra possibilità.
Mentre l'arte da parte sua, sempre secondo Givone, di fronte
alla violenza e alla guerra deve riuscire a non cadere nella
tentazione dell'estetismo, di "rappresentare la rappresentazione".
Compito auspicato per il linguaggio artistico è dunque
l'espressione di ciò che non è dicibile, l'inesprimibile,
come il lutto e la rnorte nella tragedia greca. Oppure di
essere "ciò che mi basta nel dolore, nel piacere,
nella noia,nell'adulazione nell'amore, nell'odio, nel sospetto,
nell'inefficacia... in tutto ciò che man man provo",
come ha detto in modo incisivo Luciano Fabro.
Ma si delinea anche un'arte contemporanea, come sottolineava
Sergio Risaliti, direttore del Palazzo delle Papesse, "ritornata
a quella preoccupazione per l'esistente che l'ha caratterizzata
per tutto il '900". Nel mondo della globalizzazione il
linguaggio di molte pratiche artistiche, infatti, è
direttamente impegnato in una "interferenza culturale"
ad ampio raggio che ha spesso anticipato quello che Fausto
Bertinotti nel suo intervento ha definito "Il primo vero
movimento di rottura rispetto al Novecento".
"Movimento dei movimenti" che ha superato i limiti
e le pratiche del conflitto sociale che ha caratterizzato
il secolo appena trascorso. Così, sin dall'inizio degli
anni Novanta, molti gruppi di artisti attvisti hanno messo
in atto strategie di disturbo ai danni dei codici mediatici
e politici: performance, installazioni e azioni finalizzate
non soltanto all'immaginazione di un altro mondo possibile,
ma anche alla sua costruzione. Compito tanto più difficile
e urgente dopo l'implosione drammaticamente spettacolare dell'11
settembre, l'attacco ? come ha detto Enrico Ghezzi ? "all'immagine
culmine della storia dell'umanità".
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