il manifesto - 08 Marzo 2008
Chiara
Zamboni L'incredulità femminile è il sentimento predominante:macome, perché questi attacchi alle donne uno dopo l'altro nel girare dei mesi? Non soltanto i tentativi di revisione della legge 194, né solo la legge sulla procreazione assistita,masoprattutto quei discorsi che tendono a fare della madre un grembo di transito, puro corpo, e ad instillare sensi di colpa nelle donne. Sta cambiando il simbolico, velocemente, e a questa trasformazione non è estraneo il dibattito sulla violenza contro le donne. Apprezzabile e nuovo il gesto di uomini che si sono assunti il compito di interrogare la violenza maschile, prendendone le distanze con gesti pubblici, a partire da sé, dalla propria inclinazione alla violenza, dal "piccolo camionista che è in noi", figura dell'immaginario di molti di loro. Gesti significativi di questi pochi uomini che permettono di mantenere aperta una porta, una fessura, all'interno di un simbolico che sta rovinosamente scivolando, da parte maschile, verso forme di espulsione delle donne come soggetti di pensiero e di desiderio. Alcune paure e il senso di colpa sono strumenti del simbolico dominante, che oggi tende al controllo più che alla repressione. Nel nostro caso, la paura femminile di essere infastidita pesantemente per strada e il senso di colpa per non fare tutto quel che è richiesto per il bene della vita. Le invenzioni tecnologiche come al solito corrono in aiuto. Sembra che le donne possano portarsi appresso d'ora in poi uno strumento di richiamo a distanza da attivare velocemente in caso di difficoltà. Rosa ovviamente. Per fortuna sono in aumento dappertutto le cineprese che controllano le vie delle nostre città. Così, capitasse qualcosa, è tutto filmato e in memoria di microchips. Tutto visibile. E la vita? La vita, a cui le donne hanno da sempre contribuito con la loro capacità di mettere al mondo, di aiutare le persone che si avvicinano alla morte, è diventata un oggetto tecnologico. E così si è trasformata in un bene prodotto, storico, riducibile a manipolazione. Se negli anni '80 ancora si parlava di bambino e di madre, già negli anni '90 si è incominciato a parlare solo di vita. E della morte come di uno scacco, una sconfitta in questa crociata per la vita. Uno scacco utile, semmai, per salvare nuove vite adoperando gli organi rimasti. Una espulsione simbolica della morte vera e propria. Se l'immaginario del '900 era segnato dalla morte, questo d'inizio secolo è segnato dalla vita come oggetto astratto e manipolabile. In questo slittamento simbolico le donne scompaiono come soggetti di pensiero, capaci di relazionarsi simbolicamente alla vita. Ridotte a grembo di passaggio e corpo violabile. Colpo di coda del patriarcato? No, la situazione è molto più ambigua. Confusione maschile di fronte a un "pianeta donna " sempre meno comprensibile e sempre più sfuggente. Possibilità, data dalla scienza, di saltare l'elaborazione del proprio desiderio e poter stare in un rapporto " neutro " con il corpo femminile, evitando contraddizioni e vera conoscenza di sé. Fallimento della democrazia come ultimo "dono" dei fratelli ormai senza padre alle sorelle: nei tempi lunghi si è dimostrata una offerta finta, non autenticamente elaborata, senza un discorso vincolante dentro e fuori di sé. Colpo di coda del risentimento? Questo sì, piuttosto. Dato da una vera impasse comunicativa tra donne e uomini, che ha radici lontane. Negli anni 70, il movimento politico delle donne ha messo in atto una separazione simbolica dagli uomini: il trovarsi tra sole donne ci ha dato la possibilità di interrogare autonomamente il desiderio femminile. Si è trattato di una pratica necessaria, che ha messo al mondo forme nuove di esistenza femminile e ha obbligato gli uomini a fare un passo indietro, a doversi sentire una parte, una parzialità sessuata. Non tutti l'hanno saputo fare. Molti sono rimasti feriti. Molti non hanno neppure capito, sentendo solo che qualcosa gli veniva scippato. Si sa, le pratiche hanno una loro storia, che dura il tempo della loro efficacia. Già un decennio dopo, guadagnata l'autonomia cercata, il separatismo non aveva più senso nella sua forma iniziale. Poteva essere praticato qualche volta accanto ad altre pratiche trovate via via dalle donne in un rapporto creativo con il contesto storico. Ma la mia impressione è che il muro che si era innalzato tra donne e uomini, da allora sia rimasto in piedi, ben oltre la necessità di una pratica elaborata per una contingenza precisa. Che sia diventato costume. E se la lacerazione era avvenuta a livello pubblico, non potevano essere sufficienti le cuciture all'interno di singoli rapporti di coppia o di amicizia per superarla. L'effetto di questo muro non agisce solo negli uomini, ma anche in molte donne scisse tra un desiderio di amore e una disattenzione all'altro. La soluzione non può venire oggi che da una nuova invenzione pubblica, simbolica, che questa volta coinvolga assieme donne e uomini. Ci sono già in Italia gruppi di riflessione, di autocoscienza potrei dire, che costruiscono luoghi di scambio per interrogarsi sulla differenza femminile e maschile. Sono gruppi con un intento politico, nei quali può circolare amicizia e si può riannodare una fiducia che storicamente è venuta meno fra donne e uomini. Una fiducia elementare, quella per la quale - come dice Simone Weil - ci aspettiamo dall'altro del bene e non del male. Fides, fede nell'essere, filo che orienta il desiderio di incontro, di scontro, di conflitto e di vero pensiero. Si tratta di trovare e sperimentare nuove forme di autoregolazione dei legami sociali. Dove la misura politica possa essere decantata dal risentimento maschile. |