il
manifesto - 11 Marzo 2008 La
questione maschile Ida Dominijanni
"Di
cosa parliamo quando parliamo di politica?", si chiede Bia Sarasini in apertura
dell'ultimo numero della rivista "Leggendaria" dedicato a "Donne,politica,
violenza". Domanda centrata, perché del termine ormai non c'è
certezza: "Parli di politica, e la faccia perplessa dei tuoi interlocutori
ti spinge subito a precisare. Non parlo della casta, spiego, non mi riferisco
ai politici di mestiere, parlo della passione. A questo punto gli sguardi si fanno
opachi, assenti, soprattutto nelle persone più giovani. Passione? Politica?
Ma sei sicura che ne valga la pena?". Le donne che firmano su "Leggendaria"
sono sicure, sì, che ne valga la pena. Ma a patto di fare un po' di chiarezza,
non solo lessicale; e a patto che ci si riesca - il che non è detto. Prima
cosa da chiarire - seguo ancora il filo di Sarasini: politica non è solo
quella che porta ufficialmente questo nome: c'è politica - spesso guidata
da donne - in quel vasto territorio di azione dal basso, dai comitati Dal Molin
a quelli contro la monnezza in Campania, cui la politica ufficiale non riconosce
alcuna politicità. Secondo punto: bisogna chiedersi come, quando, perché
e per chi fra la parola "politica" e la parola "senso" s'è
aperta una forbice: forse, dice Sarasini, da quando s'è perso il senso
e la necessità dello stare edel fare insieme, insomma dell'agire collettivo.
Terzo, perché la politica cambi occorre "che la politica riconosca
di avere un sesso, maschile, e che questo sesso è in crisi, non sa più
interpretare il mondo: può tutt'al più fare quadro, stringere alleanze
tra uomini, inventare a tavolino nuovi leader uomini", Obama compreso. "La
catastrofe maschile delle forme politiche novecentesche è davanti ai nostri
occhi. La sfida è costruirne altre, qui e adesso, a partire dalla vita
quotidiana. Una passione da risvegliare", conclude Sarasini rivolta soprattutto
alle donne. La cosa però non va liscia, come si sa, e come risulta dalla
stessa lettura del ricco numero di Leggendaria. Da quando, nel femminismo, le
donne hanno dato nome di politica a cose che prima non l'avevano, da quando abbiamo
politicizzato ambiti prima relegati al privato, da quando abbiamo messo al mondo
pratiche inaudite per la politica ufficiale e costruito legami politici altrettanto
tenaci di quelli istituzionali, non per questo la politica ufficiale s'è
trasformata, né la politica delle donne riesce a bilanciare la crisi della
politica maschile, né tantomeno a sostituirsi ad essa. C'è una asimmetria,
abbiamo sempre detto. Adesso dobbiamo prendere atto che c'è anche una impasse.
Ne scrive Lia Cigarini, sull'ultimo numero di "Via Dogana", titolo,
"Bianco rosa verde. Contro la crisi della politica". Perché "contro"?
Perché il discorso sulla crisi della politica, scrive Cigarini, sta diventando
una formula "che finisce per essere evasiva". Evasiva di un punto preciso
e cruciale, questo: "Nel declino della politica e nel degrado della società
italiana comincia a trasparire una rimossa e irrisolta 'questione maschile'".
In che consiste la questione maschile, sorta di rovescio paradossale della "questione
femminile" pre-femminista? Consiste nel fatto che, dopo la critica femminista
della politica e dopo la "modificazione inarrestabile" dei rapporti
sociali e dell'ordine simbolico innescata dal femminismo, "la società
maschile nel suo insieme non ha preso coscienza della fine del patriarcato né
della necessità di confrontarsi con la soggettività politica delle
donne, sebbene alcuni sì ed è forse l'inizio di un cambiamento".
Ciò che la formula della crisi delal politica nasconde, dunque, è
quanto "l'inefficacia della politica sia da attribuirsi al disfarsi della
genealogia maschile e del suo linguaggio, e al mancato confronto con l'altra e
il suo sapere politico". Il guaio è che senza consapevolezza non c'è
neanche conflitto: "Perciò - scrive ancora Cigarini - parlo di questione
e non di conflitto fra i sessi.Il conflitto è vitale e produttivo di senso;
la questione, senza uno scatto di consapevolezza, può solo ingombrare la
politica e può farlo anche per cento anni". Da cui l'impasse di cui
sopra. Che speriamo duri meno di cento anni, tolti gli almeno quindici che ha
già alle spalle. |