il
manifesto - 11 Marzo 2008 Collerici
amori di povere anime freak Valeria Gennero Amori
omosessuali dignitosi e profondi, donne "pazze di rabbia", uomini muti
e al limite della follia: è fatto di questi elementi l'universo narrativo
di Carson McCullers i cui romanzi sono stati acquisiti al catalogo della Einaudi
Stile libero. Appena uscito, il "Il cuore è un cacciatore solitario"
è ambientato nelle strade rese bollenti dall'aria che arriva dal Golfo
del Messico
New
York, 1940: solo una breve passeggiata separa il ponte di Brooklyn da Middagh
Street, dove un grande appartamento fatiscente ospita una comunità di giovani
artisti destinati a diventare, lungo percorsi diversamente eccentrici, icone della
cultura angloamericana del '900. George Davis, direttore responsabile della narrativa
di Harper's Bazaar e acuto talent scout, ha offerto alloggio a un gruppo che comprende
Wystan Auden, Benjamin Britten, Klaus ed Erika Mann, Paul Bowles e sua moglie
Jane. Insieme a loro, la stella del momento: Carson McCullers. Erano bastati pochi
mesi perché, poco più che ventenne, la scrittrice abbandonasse l'anonimato
e l'inerzia della vita di provincia (era nata a Columbus, in Georgia, come Carson
Lula Smith) per trovarsi proiettata al centro dell'attenzione mediatica statunitense.
Nel giugno 1940, pochi giorni dopo la pubblicazione del suo primo romanzo
- Il cuore è un cacciatore solitario - la ricezione entusiasta del pubblico
e della critica avevano spinto la giovane a lasciarsi alle spalle il North Carolina
per trasferirsi a New York insieme al marito Reeves McCullers. Acclamata imediatamente
come nuovo fenomeno letterario, Carson Smith sarebbe rimasta fino alla morte un
personaggio di primo piano della controcultura statunitense. La sua biografia
parla di una figura sregolata tanto quanto limpida e rigorosa era la sua scrittura,
condensata in cinque brevi romanzi capaci di illuminare alcune zone d'ombra della
cultura americana, ed è quindi meritorio che Einaudi Stile Libero abbia
cominciato l'operazione di recupero integrale di questo percorso di scrittura
oggi difficile da reperire sul mercato italiano. Una
trama di solitudini Il primo volume di McCullers riproposto è Il cuore
è un cacciatore solitario (pp. 368, euro 11,80), che esce nella traduzione
ancora impeccabile di Irene Brin. L'introduzione di Goffredo Fofi giustamente
ci ricorda come questo romanzo d'esordio riesca nell'impresa di essere a un tempo
l'ultimo dei romanzi proletari degli anni '30 e il primo esempio di quel disincanto
dolente che sarebbe esploso nell'immaginario di massa con Un tram che si chiama
desiderio di Tennessee Williams, pochi anni più tardi. I protagonisti di
McCullers anticipano molti dei temi che solo la beat generation sarebbe poi riuscita
a recuperare e a articolare in modo esplicito. Dunque, Il cuore è un cacciatore
solitario ruota intorno alla figura di un sordomuto, John Singer, legato da un
amore profondo (e "indicibile" anche a livello metaforico) a un altro
uomo, Spiros Antonanopulos, anch'egli muto, vittima di un esaurimento nervoso
che, nonostante gli sforzi dell'amico, porterà al suo ricovero in manicomio.
Rimasto solo, Singer - che ha poco più di trent'anni - abbandona la casa
in cui erano vissuti insieme per un decennio e affitta una stanza in un albergo
modesto, gestito dalla famiglia Kelly. Qui fa amicizia con la figlia dei proprietari,
Mick Kelly, una dodicenne che indossa solo pantaloni per non assomigliare alle
sorelle - il cui impegno principale è scrivere lettere alle star hollywoodiane
e copiare i loro vezzi seduttivi - e dichiara imperturbabile: "Io credo tanto
in Dio quanto in Babbo Natale". L'androginia di Mick Kelly - come, negli
stessi decenni, quella dell'Orlando di Virginia Woolf o delle eroine di Djuna
Barnes - è metafora di un desiderio di autonomia e di creatività
che riesce ad esprimersi solo rovesciando i segni visibili di una femminilità
percepita come condanna all'isolamento tra le pareti domestiche. Mick, che
vorrebbe essere un ragazzo per vivere come Bill, il fratello maggiore di cui invidia
la libertà di muoversi e vestirsi senza costrizioni, è solo la prima
di una serie di giovani donne attraverso cui McCullers metterà in scena,
nel corso della sua carriera, la consapevolezza di una differenza sessuale rivendicata
con orgoglio e al tempo stesso scandagliata nelle sue conseguenze debilitanti.
In Invito di nozze (del 1946) renderà protagonista Frankie Addams, un'altra
giovane donna con un soprannome di genere indecifrabile, facendola sognare di
essere un maschio e di arruolarsi nei marines perché "i soldati nell'esercito
possono dire noi". Proprio l'assenza di una dimensione collettiva è
alla base del malessere esistenziale che pervade queste figure ribelli e scontrose.
Ma il senso di esclusione dai meccanismi identitari rassicuranti che imprigionano
la gente "normale" si trasforma, nelle storie di McCullers, in uno spazio
in cui può nascere l'utopia. Uno spazio marginale e umbratile, dove si
stagliano personaggi feriti eppure indomiti che conservano ancora oggi una rara
intensità lirica. È così per le giovani donne inquiete come
Mick, che sognano di trovare nella pratica artistica fama, successo e una prospettiva
di libertà, lontana dal perimetro opprimente delle responsabilità
familiari. È così per uomini coraggiosi e disillusi come il dottor
Copeland, un medico afroamericano che ha dedicato la vita alla diffusione dell'orgoglio
nero e degli ideali marxisti: abituato a ignorare "la tranquilla insolenza
della razza bianca" per concentrare la sua attenzione sulla sua gente, Copeland
spesso non riesce a controllare il "collerico amore" che lo travolge
quando si accorge che la comunità afroamericana è di fatto complice
di quel capitalismo razzista che li priva della dignità umana. E anche
i suoi stessi figli - incluso quello battezzato Karl Marx nella speranza diventasse
una guida per la rivoluzione nera - non sono da meno. Non stupisce, dunque,
che Richard Wright, a sua volta reduce, nel 1940, dalla pubblicazione del suo
primo romanzo Paura (Native Son) abbia recensito Il cuore è un cacciatore
solitario acclamando in Carson McCullers una scrittrice che "per la prima
volta nella letteratura meridionale tratta i personaggi neri con la pacatezza
e la giustizia riservati a coloro che appartengono alla sua razza". Il
fiore della povertà Utilizzando una scrittura tersa e evocativa, McCullers
cambia di capitolo in capitolo il punto di vista che filtra gli eventi narrati
e fa emergere mondi interiori capaci di plasmare la realtà in modi tanto
singolari da renderla di fatto incomunicabile. Così accade quando descrive
le utopie del dottor Copeland e l'ambizione artistica di Mick, la passione amorosa
di Singer e il radicalismo rabbioso di Jake Blount, comunista in crisi ormai rassegnato
al fatto che "il risentimento è il fiore più prezioso della
povertà". Anche Blount, tarchiato e imbolsito dai troppi whisky, "dava
l'impressione che qualcosa in lui fosse deforme, ma quando lo si osservava con
attenzione tutto in lui era normale. Esattamente come doveva essere. E allora,
se quel disaccordo non era fisico doveva essere morale". In parte è
vero: la deformità dei freaks di McCullers è in primo luogo interiore.
L'anomalia che li riguarda consiste nel loro non riuscire a essere uguali a se
stessi. Incapaci di collocarsi in modo rassicurante lungo binari conosciuti, osservano
il mondo impacciati e dolenti. Come Mick, la cui appartenenza pesca all'interno
di confini molteplici, tra infanzia e adolescenza, maschile e femminile, audacia
e insicurezza. Stranieri a se stessi, spettatori stupiti delle contraddizioni
proprie di una America impoverita dalla recessione eppure egoista e crudele nei
confronti dei deboli, i freaks di McCullers si muovono lenti in spazi resi accidiosi
dall'aria bollente che arriva dal vicino Golfo del Messico. La canicola sferza
e opprime quartieri in disfacimento, pieni di gente affamata e bambini rachitici.
Il panorama che ne viene fuori è desolato eppure avvincente. Strade
riarse e assonnate, squarciate all'improvviso da esplosioni di violenza, liti,
scoperte macabre ("Una mattina d'aprile trovò un uomo assassinato,
un giovane nero, in un fossato a circa trenta metri dalla fiera. Gli avevano tagliato
la gola con un colpo così atroce che la testa pendeva quasi staccata").
La prosa di McCullers insegue un ideale di semplicità rigorosa, una scarnificazione
del discorso narrativo in cui la sperimentazione stilistica modernista si traduce
in quadri di ingannevole semplicità, come nell'incipit del romanzo: "C'erano
due muti, in città, e se ne stavano sempre insieme. La mattina presto uscivano
di casa per recarsi al lavoro: camminavano a braccetto, ed erano molto diversi
l'uno dall'altro". Il rapporto tra i due è sopraffatto, nei capitoli
filtrati dal punto di vista di Singer, da una esaltazione passionale che mantiene
ancora intatta la sua forza: "Non cessava di pensare a lui: la felicità
di rivederlo lo irrigidiva, aveva le narici bianche, convulse, il respiro gli
usciva rapido e ansante dalle labbra socchiuse". Amori omosessuali dignitosi
e profondi, donne coraggiose e "pazze di rabbia" per le costrizioni
subite, intellettuali protesi verso una missione di giustizia sociale cui non
rinunciano nemmeno nei momenti di amarezza e disillusione: questi i freaks cui
McCullers dà la parola in un romanzo del quale, non a caso, è stata
riscoperta la sua valenza di manifesto femminista e queer. Un
riferimento per la cultura gay Anche la biografia della scrittrice, del resto,
contiene innumerevoli spunti che contribuiscono a renderla, oggi, una figura dai
tratti mitizzabili. La casa di Middagh Street, che Anaïs Nin avrebbe ribattezzato
"February House" perché molti dei suoi abitanti compivano gli
anni nel mese di febbraio, è diventata un riferimento importante per la
storia della cultura gay del '900. In quelle stanze Benjamin Britten viveva con
il suo compagno, e altrettanto faceva Wystan Auden, che aveva sposato Erika Mann
solo per garantirle la cittadinanza britannica. Anche Klaus Mann non aveva mai
fatto mistero della propria omosessualità, mentre qualcosa di analogo rendeva
inconsueto il legame tra Paul Bowles e la moglie Jane. Più tradizionale
invece il ménage di Richard Wright, che arrivò a Brooklyn insieme
alla moglie e alla figlia. In questo contesto trasgressivo e elettrizzante, fatto
di cene, collaborazioni artistiche e fiumi di alcool, presero forma opere decisive
per la cultura anglo-americana del dopoguerra. McCullers si immerse nella vita
della February House con un entusiasmo che avrebbe presto minato il suo fisico,
già debilitato dalla febbre reumatica. Fra
talento e sventura Dopo anni di salute cagionevole, quando era appena trentenne
un ictus le paralizzò il lato sinistro del corpo. Sarebbero seguiti altri
vent'anni di successi letterari e tracolli esistenziali: dopo il divorzio McCullers
risposò il marito Reeves, poi tentò più volte il suicidio,
mentre la malattia progrediva rapida e si alternavano amori, spesso impossibili,
per uomini e donne. Finché la morte arrivò nel 1967 quando Carson
McCullers aveva appena compiuto cinquant'anni. Le fotografie degli ultimi anni
la ritraggono ormai paralizzata, eppure il volto era rimasto quello androgino
e trasognato della giovane in camicie di taglio ostentatamente maschile. "È
stata sin dagli inizi una leggenda tipicamente americana: la sua fama era, in
uguale misura, il risultato del suo talento e di imponenti campagne promozionali"
ha scritto Gore Vidal. Ma lo stesso Vidal ammette che, diversamente dal solito,
il talento della scrittrice era così evidente da rendere superfluo il contorno
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