il manifesto
- 14 agosto 2001 Che oggi ci sia un movimento così ampio, variegato, multicolore, capace di dire all'intera società che "un altro mondo è possibile", a me fa piacere. Mi fa piacere soprattutto che sia composto principalmente di giovani, uomini e donne, alla faccia dei sondaggi che descrivevano una generazione giovanile indifferente, interessata solo al denaro, alla carriera, alla prestanza fisica. Sono però anche preoccupata: appartengo alla generazione del '68 e vedo il rischio che dopo Genova, del '68 si ripeta lo stesso copione: dal movimento a forme più organizzate, all'autodifesa nelle manifestazioni, a frange che diventano terroristiche... Un'evoluzione che si è dimostrata fallimentare. Nel '68 era alquanto radicata l'idea del conflitto come escalation muscolare crescente. Ho capito pochi anni dopo, con il femminismo che ha spaccato in due tutti i gruppi della sinistra extraparlamentare nati dal '68, per la fuoriuscita di molte donne tra cui io stessa, come questo modo di intendere il conflitto fosse maschile. In quegli anni di separatismo abbiamo criticato radicalmente la focalizzazione sulle manifestazioni e gli scontri di piazza, i leader, le strutture organizzative che riproducevano la gerarchia e riducevano le donne a "angeli del ciclostile": l'aspetto maschilista del movimento ci era chiaro e riuscivamo a dirlo. Ho vissuto il '68 e i gruppi extraparlamentari con un disagio di fondo, pure volevo esserci, pure lì ho impegnato la mia giovane vita scappando di casa, rinunciando a una borsa universitaria per fare militanza politica, come si diceva allora, a tempo pieno. Lo dico perché so di persona quanto può essere grande in una persona giovane il desiderio di esserci. Oggi vedo nel "movimento dei movimenti" segni diversi che possono fare sì che non si ripeta coattivamente la parabola del '68, ma si possa aprire un'altra strada: la questione è aperta, dopo Genova siamo come a un bivio. Di diverso da allora vedo il fatto che il movimento è molto più composito, non ci sono solo studenti ma madri con le loro creature, persone anziane, di colore, frati e suore, le più svariate associazioni. C'è una presenza significativa di donne, si pensi alla circolazione di No logo di Naomi Klein e Monoculture della mente di Vandana Shiva. E' molto più forte la coscienza e la ricerca di forme di lotta non violente, mentre ricordo assemblee del '68 in cui si teorizzava che prendere botte dalla polizia aumentava la coscienza politica di noi studenti. Come sottolinea spesso Naomi Klein, nel "movimento dei movimenti" c'è un altro modo di prendere le decisioni, più reticolare e spartito, mentre ricordo bene che nel '68 c'erano pochi leader indiscussi (tutti maschi) e vigeva una logica assembleare in cui chi non ce la faceva a parlare in pubblico e a farsi valere in assemblea - ed erano soprattutto ragazze - era tagliato fuori dalle decisioni. Inoltre questo movimento ha e esplicita una vocazione non minoritaria, ho sentito in varie interviste a donne e uomini l'idea di voler conquistare gran parte dell'opinione pubblica, con l'intuizione del ruolo che gioca oggi nella politica la rappresentazione simbolica e con la capacità di fare e di far circolare informazione. Proprio per questi aspetti positivi voglio anch'io interloquire con Luca Casarini di cui ho apprezzato nell'intervista del 3 agosto sul manifesto l'interrogazione sincera sul dopo Genova, anche con elementi autocritici, e la ricerca di una terza strada tra il tornarsene a casa e l'andare allo scontro militare. Quello che ho da dirgli è che c'è stato un movimento collettivo, il movimento delle donne, che ha compiuto una rivoluzione pacifica e vincente, in cui lo scontro muscolare era del tutto assente e anche la piazza non è stata l'essenziale, essenziale è stato modificare il contesto in cui ciascuna era, la famiglia, il lavoro, la coppia, 365 giorni all'anno e non una volta ogni tanto in piazza. Vincente è stata l'invenzione di una politica che è una pratica di vita, relazioni che ti fanno esistere, che creano luoghi di incontro e li mantengono vivi. Il movimento delle donne ha fatto principalmente lotta simbolica, non nel senso di andare a "distruggere" o "violare" un simbolo, che sia una banca o la zona rossa, ma nel senso di capovolgere le idee correnti, come affermare la fortuna di essere nata donna per far decadere il pregiudizio dell'inferiorità femminile. In quell'intervista, Casarini propone la "disubbidienza sociale", ma negli esempi che porta di medici, infermieri, avvocati che hanno portato soccorso e si sono a loro volta organizzati a rete perché attratti dal movimento, rimane in una impostazione reattiva e di rapporto ravvicinato con il potere. Propone una "rete delle reti", il movimento come "polo attrattivo per figure e realtà che gli sono distanti", con un'idea solo di resistenza, manca l'idea di prendersi la libertà con reti e relazioni che diano esistenza effettiva e autonoma in quello che si è e si fa. C'è una vitalità in questo movimento che può essere davvero un polo attrattivo per la "moltitudine" se cambia il modo di vivere quotidiano, ridà senso alle relazioni sociali in cui ci troviamo, se diventa una politica "esistenziale" alla portata di tutti e che ci fa anche, qui e ora, un po' più felici. |