"A
Kabul sotto le bombe lotto per il pane e i figli"
LA
TESTIMONIANZA. Il racconto di Zeba, una donna di 31 anni che
vive al centro della capitale afgana
STEFANIA DI LELLIS
Questa
è la giornata di Zeba, una donna di 31 anni che vive
al centro di Kabul. E' in stretto contatto clandestino con
le militanti della Rawa, l'Associazione rivoluzionaria delle
donne afgane, che lavorano tra Islamabad e l'Afghanistan.
E' stata proprio una di queste ragazze a raccontare la vita
di Zeba e della sua famiglia sotto le bombe.
"CINQUE
del mattino, il cielo è ancora scuro a Kabul. E ancora
più buia è la mia stanza, le finestre pitturate
di blu che i Taliban ci hanno imposto mi rubano la luce dell'alba.
Mi alzo, ma faccio piano, le mie bambine Nahid e Fatima dormono
proprio qui accanto. Chissà come fanno a stare così
tranquille, a me stanotte sembrava che le bombe cadessero
sulla testa. Ieri Mareena, la vicina, mi ha detto che tre
case in fondo alla strada sono state distrutte. Non so chi
ci fosse là dentro. Dio mio, fa che non tocchi anche
a noi, Dio salva la mia famiglia.
Sveglio
Rahimullah, mio marito. Deve aiutare i suoi genitori nella
stanza accanto a vestirsi, io non ce la faccio a sollevare
suo padre: da quando i mujahiddin gli hanno fatto fuori tutte
e due le gambe non si muove più da solo e anche sua
moglie è troppo debole per sostenerlo. Beviamo insieme
una tazza di tè. Niente zucchero, ieri sono riuscita
a procurarmene due cucchiai, ma lo tengo per le bambine, per
loro è una festa succhiarselo lentamente.
Spazzo
la casa, accendo il forno, ma non so se oggi Rahimullah riuscirà
a trovare qualcosa da cuocerci dentro. Sono due settimane
ormai che il carretto con cui va a vendere le verdure al mercato
è vuoto. Le strade sono bloccate, la frontiera con
il Pakistan pure e le merci non arrivano. Ogni volta che lui
esce io ho paura che non torni, che i Taliban lo arrestino
per mandarlo a combattere. Lui dice che è peggio quando
va a nord, perché quelli dell'Alleanza ammazzano tutti
gli uomini che arrivano da Kabul.
Si
sono fatte le sette e devo andare a prendere l'acqua. Ormai
ce n'è solo alla fontana della moschea a quattro chilometri
da qui, e tra due ore il figlio di Mareena viene a ritirare
il burqa per la madre. Da quando il suo si è consumato
usiamo a turno il mio, comprarne uno nuovo costa troppo. In
cambio del prestito lei mi dà un po' di carbone. In
realtà non è che poi lo usi tanto il burqa io,
dall'inizio dei raid i Taliban hanno proibito alle donne di
uscire anche accompagnate dagli uomini. Per andare ad attingere
l'acqua, però, rischio. Due giorni fa una guardia vicino
alla moschea mi ha picchiata con un bastone, Nahid, la bambina
più grande che era con me si è messa a piangere.
Come farà a crescere così, povera creatura mia.
Torno,
oggi è andata bene. Nahid e Fatima sono sveglie, Rahimullah
è uscito, ma ha lasciato un sacchetto di farina, chissà
come se l'è procurata. Le bambine sperano in una focaccia,
e invece questa farina serve per preparare il pane da vendere.
Più tardi verranno i figli dei vicini a comprarlo qui
da me. Mi dispiace prendere soldi da loro, ma le guerre ti
rubano anche la libertà di essere generoso.
Riesco
però ancora a fare qualcosa gratis per gli altri: insegno
ai figli dei vicini. Io so leggere e scrivere (anche a macchina),
prima che i Taliban proibissero alle donne di lavorare ero
dattilografa. Niente burqa, solo un foulard leggero, usciva
sempre una ciocca di capelli sul davanti. I bambini vengono
qui di nascosto, le ragazze dell'Associazione Rawa mi hanno
dato un po' di quaderni e una lavagnetta. Prima venivano solo
le femmine, adesso anche qualche maschietto, visto che ormai
se vanno a scuola li arruolano per la "guerra santa".
Sono bravi i miei allievi, sanno che se bussa qualcuno alla
porta devono far finta di essere riuniti per pregare. Se scoprono
che insegno a scrivere alle bambine mi arrestano.
Si
è fatto buio, ancora più pesto dentro casa.
La candela la accendo solo in casi di emergenza. Ecco si risentono
le bombe, sono vicine. Rahimullah torna a casa, Dio sia ringraziato.
Anche oggi siamo riusciti a far mangiare le bambine, almeno
abbastanza perché prendano sonno. Rahimullah ed io
ci rannicchiamo in un angolo della stanza. Tiriamo fuori la
radio. E' il nostro segreto, durante il giorno la teniamo
nascosta in un buco nel pavimento. Nella notte, la Bbc e Voice
of America ci raccontano il mondo lontano, mentre sul nostro
cadono i missili. Prego con tutte le mie forze perché
almeno dopo questa guerra ci sia un mondo migliore anche qui".
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